Alzheimer, tumori, Parkinson: le scimmie clonate tappa per le cure

Scimmie clonate, ecco come ci aiuteranno a combattere le malattie
Alzheimer, tumori, Parkinson: le scimmie clonate tappa per le cure

ROMA – Un passo avanti, deciso, nella lotta a mali come l’alzheimer, il parkinson e i tumori o un pericolo per il futuro dell’umanità? A seconda del punto di vista da cui viene letta la notizia della clonazione di due scimmie, quindi della forma di vita più simile a noi umani, questa assume aspetti diametralmente opposti. I punti di vista, come è facile immaginare, sono quelli del mondo scientifico da una parte e di quello religioso dall’altra. Il primo esulta per la riuscita della clonazione dei primati ottenuta per la prima volta con la tecnica usata per il primo animale mai clonato dall’uomo: la pecora Dolly.

“Le immagini di Zhong Zhong e Hua Hua – scrive Maurizio Bifulco sul Sole24Ore – ci rimandano alla memoria altre due scimmie famose nella storia, Miss Baker e la sua compagna Able, le scimmie pioniere dello storico volo spaziale del 1959 che dimostrò che la vita può essere sostenuta nello spazio aprendo così la strada per l’invio del primo essere umano in orbita intorno alla terra. Stiamo assistendo, come allora per la corsa allo spazio, a una tappa fondamentale nella corsa per un futuro della ricerca biomedica che porti allo sviluppo di nuove terapie per la cura definitiva di malattie diffuse come i tumori, ma anche il Parkinson e l’Alzheimer”.

Questo perché saper clonare in questo modo esseri viventi così simili a noi consentirà, o consentirebbe, di poter creare una vasta popolazione di animali geneticamente uniformi in cui studiare i meccanismi delle malattie umane e testare nuovi approcci terapeutici eliminando l’enorme variabilità genetica tra individui come fattore confondente. Con dei vantaggi macroscopici anche in termini di animali utilizzati in laboratorio, ne servirebbero molti meno, ma soprattutto in termini di risultati.

“Mi preoccupa la volontà che sta dietro una ricerca simile. Ci vedo una minaccia per il futuro dell’umanità. Prima la pecora, poi la scimmia… Pare il tentativo di avvicinarsi all’uomo, come fosse un penultimo passo. Una prospettiva che la Chiesa, naturalmente, non potrà mai approvare”. Commenta dalla sponda opposta il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della pontificia Accademia per la vita, tra i massimi bioeticisti della Chiesa. Chiesa e Scienza, due sponde che mai sono andate d’accordo, da Galileo a Giordano Bruno il loro è stato un rapporto complesso. Ma come può essere la capacità raggiunta ora dall’uomo un bene o un male solo cambiando punto di vista? E’ evidente che questa tecnologia porta con sé degli interrogativi di tipo etico, aprendo effettivamente la strada alla clonazione umana. Ed è anche noto che la comunità scientifica si dà, perché sono gli stessi scienziati a richiederlo ad ogni nuovo passo avanti, delle regole e dei limiti che vanno e vengono rispettati.

Resta quindi il pericolo che qualcuno, in mala fede, faccia cattivo uso della scienza e della tecnologia e quindi superi quei limiti. Un rischio che esiste e che è sempre esistito, ma che fortunatamente non ha impedito all’uomo di evolversi da quando ha imparato ad accendere il primo fuoco sino a quando è riuscito a viaggiare nello spazio. C’è, forse, allora dell’altro nell’avversione che le Chiese, perché non è solo quella di Roma a guardare di traverso esperimenti come questo, dimostrano. E a rileggere le parole del cardinale Sgreccia si potrebbe persino intuire cosa. “Prima la pecora, poi la scimmia… Pare il tentativo di avvicinarsi all’uomo, come fosse un penultimo passo”. E il passo è quello verso la conoscenza intima dei meccanismi che regolano la vita, quella conoscenza che ci consentirebbe di comprendere anche i meccanismi delle malattie ma che una volta svelata, rivelando il segreto della vita, eliminerebbe la ragion d’essere delle Religioni.

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