Batteri e virus killer, non si investe sulle cure: una guerra già persa?

ROMA – Una nuova tubercolosi incurabile scoperta in India. Batteri nella carne venduta ai supermercati. Supervirus killer creati in laboratorio. Un superbatterio trovato nel latte di mucca. Sono solo alcuni dei pericoli per la salute dell’uomo che arrivano dai microrganismi infettivi. Si prospetta così una nuova guerra, come l’America aveva annunciato già nel 2010. Una guerra destinata alla sconfitta, perché le aziende farmaceutiche non investono più nella ricerca per gli antibiotici.

Il rischio nel 2028 sarebbe quello di tornare a morire per infezione. La denuncia arrivava proprio dalla Food and drug Administration, Fda. “La scarsità di nuovi prodotti contro queste infezioni è preoccupante. Rischiamo di non avere più strumenti contro alcune malattie gravi”, diceva preoccupata Margaret Hamburg della Fda. Nel 2010 il governo americano aveva pensato ad incentivi pubblici per convincere le aziende private ad investire nelle cure.

Perché corriamo questo rischio? La risposta è semplice: perché investire nella ricerca sugli antibiotici non è conveniente per le grandi aziende farmaceutiche. L’individuazione di un vaccino o di un antibiotico per infezioni “comuni”. Il prezzo spesso basso di una confezioni di antibiotici ed i ridotti tempi di assunzione fanno di questi farmaci un prodotto non conveniente per la case farmaceutiche a fronte di investimenti di decine di milioni di euro e in media dieci anni di tempo tra ricerca e sperimentazione.

In una stima del New York Times del 2010 delle 13 maggiori case farmaceutiche del mondo solo 5 possedevano un laboratorio destinato alla ricerca di nuovi antibiotici. La rivista The Lancet annunciava nell’estate 2010 la scoperta del gene Ndm-1, proveniente dal sud est asiatico, che si diffondeva tra i batteri provocandone mutazioni e resistenza agli antibiotici noti. Un pericolo per l’umanità, che rischia per interessi economici di ritrovarsi sprovvista di cure efficaci e di tornare a morire per infezioni oggi considerate banali.

Ma se il pericolo nel 2020 è quello di non avere più antibiotici per poter curare un’infezione batterica, prodotto da vendere sul mercato poco ghiotto per le case farmaceutiche, sorprende l’interesse, e gli investimenti economici, nella realizzazione di “super virus”, come quello dell’aviaria di cui i laboratori hanno creato una versione mortale che rischia di debellare l’umanità entro 10 anni. Certo virus e batteri sono organismi differenti che hanno bisogno di cure differenti, ma perché i governi si impegnano nella creazione di nuovi ceppi incurabili e non investono nelle potenziali cure? Ricerche che poi, come nel caso del virus dell’aviaria, tentano di censurare per timore del bioterrorismo. Ricerche troppo spesso finanziate con i soldi pubblici e destinate a rischi apocalittici di epidemie, piuttosto che al bene della salute dell’uomo.

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