Caso Borsellino, indagati tre poliziotti per i depistaggi. Salta fuori il nome dell’ex questore La Barbera

Falcone e Borsellino

A diciotto anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio iniziano le inchieste sulle inchieste: quelle sui depistaggi di Stato. La Procura della Repubblica di Caltanissetta sta indagando su chi coprì i veri assassini di Paolo Borsellino. Lunedì scorso sono stati interrogati i tre poliziotti che nell’estate del 1992 avevano investigato sui massacri siciliani, incastrando il falso testimone di giustizia Vincenzo Scarantino (che si autoaccusò di una strage che non aveva mai fatto) e portando alla soluzione del caso. Ma era tutto falso: ora, a partire dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, i  tre funzionari, Salvo La Barbera, Mario Bo e Vincenzo Ricciardi, sono finiti davanti al giudice. E dagli interrogatori è già saltato fuori un nome eccellente: Arnaldo La Barbera.

Ex capo della squadra mobile di Palermo e questore del capoluogo siciliano prima e di Napoli poi, La Barbera era a capo del gruppo investigativo (il “Gruppo Falcone-Borsellino”, appunto) che investigò sulle stragi che uccisero i due magistrati. Ora La Barbera ha tutti i sospetti addosso, ma non potrà difendersi: nel 2002, a soli sessanta anni, è scomparso per un tumore, lasciando così i suoi tre sottoposti a rispondere di tutte le accuse. I magistrati di Caltanissetta, nel capo di imputazione contestato ai tre poliziotti, parlano “di calunnia aggravata in concorso con Arnaldo La Barbera”, loro capo.

Secondo le accuse Ricciardi, ora questore di Venezia, Bo, capo della squadra mobile di Trieste e La Barbera (che non ha alcuna relazione di parentela con Arnaldo), della polizia postale di Milano, hanno indotto mediante minacce e pressioni psicologiche i tre pentiti Salvatore Candura, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino a “rendere false dichiarazioni in merito alla fase esecutiva” della strage di via D’Amelio. Ora i magistrati siciliani stanno indagando sul perché di questo depistaggio. L’arresto di Scarantino è stato voluto dal dottor La Barbera per “ansia da prestazione”? O il falso pentito è stato costruito a tavolino su “input esterno”?

Ora la questione è capire se i falsi pentiti adesso dicono finalmente la verità, dato che a breve dovrebbe essere presentata anche la richiesta per la revisione di una parte del processo Borsellino. Dopo la sentenza di condanna a sette anni per il senatore Marcello Dell’Utri e dopo le parole del procuratore Pietro Grasso sull'”entità esterna che voleva agevolare una forza politica”, rimane da chiarire anche il ruolo dei Servizi Segreti: Arnaldo La Barbera infatti  appare sui libri paga del Sisde, col nome in codice “Rutilius”, ma ancora non si sa a che titolo.

Molti gli interrogativi su cui gli investigatori devono ancora far luce. “Per via D’Amelio ci sono persone colpevoli fuori e persone innocenti in galera”, ha dichiarato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, che ha permesso l’apertura di questo nuovo filone di indagine. I tre falsi pentiti di allora, Candura, Andriotta e La Barbera, hanno ammesso di aver detto il falso, scagionando una mezza dozzina di mafiosi e puntando il dito verso altri mafiosi. E riaccendendo così le speranze di scoprire, questa volta, i veri mandanti delle morti di Falcone e Borsellino.

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