ROMA – Venti ultraveloci emessi dai buchi neri per forgiare le galassie, ne esiste un terzo tipo rispetto ai due fino ad oggi studiati. Questa la conclusione a cui sono arrivati gli astronomi grazie alle osservazioni condotte con il telescopio XMM-Newton del buco nero che si trova nel cuore della galassia attiva PG 1114+445. I dati hanno permesso di stabilire che i venti ultraveloci, detti anche outflows, cioè i deflussi di gas che sono emessi dal disco di accrescimento nella regione prossima al buco nero, interagiscono con la materia interstellare contenuta nel centro della galassia e ne influenzano la formazione.
A parlare dello studio pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophycis è Roberto Serafinelli, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Milano, che ha condotto la maggior parte della ricerca durante il suo dottorato all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata: “Questi venti potrebbero spiegare alcune sorprendenti correlazioni note da anni ma che gli scienziati ancora non sono riusciti a giustificare”.
Serafini ha spiegato: “Osserviamo, per esempio, una correlazione tra le masse di buchi neri supermassicci e la dispersione di velocità delle stelle presenti nelle regioni interne delle galassie ospiti. Questo però non può essere dovuto all’attrazione gravitazionale del buco nero, a causa dell’elevata distanza del gas dallo stesso. Il nostro studio, per la prima volta, mostra come i venti del buco nero abbiano sulla galassia un impatto su una scala più grande, fornendo probabilmente il collegamento mancante”.
Già gli astronomi avevano identificato due tipi di outflows negli spettri a raggi X emessi dai nuclei galattici attivi, le dense regioni centrali delle galassie con buchi neri supermassicci al centro. I cosiddetti outflows ultraveloci (UFO, ultra-fast outflow), fatti di gas altamente ionizzato, viaggiano a velocità che possono raggiungere il 40 per cento di quella della luce, e si osservano in prossimità del buco nero centrale.
Poi ci sono gli outflows più lenti, chiamati anche “assorbitori tiepidi” (warm absorbers), che viaggiano invece a velocità assai più basse di quelle della luce, nell’ordine delle centinaia di chilometri al secondo, e mostrano caratteristiche fisiche simili a quelle della materia interstellare circostante, come la densità delle particelle, o la loro ionizzazione. Questi outflows più lenti hanno una probabilità più elevata di essere rilevati a distanze maggiori dal centro della galassia.
Lo studio condotto da Seraginelli ha però permesso di determinare un terzo tipo di outflow, che è una via di mezzo tra i due precedentemente descritti. Questi venti hanno la velocità di un UFO, ma le proprietà fisiche di un assorbitore tiepido: “Riteniamo che si tratti della zona in cui l’UFO entra in contatto la materia interstellare e la trascina via come fosse uno spazzaneve. È ciò che chiamiamo un outflows ultraveloce ‘trascinato‘, perché l’UFO, in questa fase, sta penetrando nella materia interstellare. Un po’ come il vento quando sospinge la vela di una barca”.
Il trascinamento avviene a una distanza dal buco nero che va da decine a centinaia di anni luce. L’UFO sospinge gradualmente la materia interstellare allontanandola dalle regioni centrali della galassia, liberando queste zone dal gas e rallentando così l’accrescimento della materia attorno al buco nero supermassiccio. Un processo, questo, già previsto dai modelli, ma mai prima d’ora osservato nelle sue tre fasi.
Franco Tombesi, secondo autore dello studio e ricercatore dell’Università di Roma Tor Vergata e del Goddard Space Flight Center della NASA, ha spiegato: “Nei dati di XMM-Newton possiamo vedere materia ancora indisturbata dall’UFO proveniente dell’interno. Possiamo vedere anche nubi di gas a minor distanza dal buco nero, vicino al nucleo della galassia, dove l’UFO ha iniziato a interagire con la materia interstellare”.
Una prima interazione, questa alla quale accenna Tombesi, che avviene a parecchi anni di distanza da quando l’UFO ha lasciato il buco nero. Ma l’energia dell’UFO consente al buco nero, che è un oggetto relativamente piccolo rispetto alla galassia, di estendere la sua influenza su materia che si trova ben oltre la portata della sua forza gravitazionale.
Secondo gli scienziati, attraverso gli outflows i buchi neri supermassicci trasferiscono la loro energia nell’ambiente circostante, spazzando via gradualmente il gas dalle regioni centrali della galassia, che potrebbe quindi arrestare la formazione stellare. E, in effetti, oggi le galassie producono stelle a un ritmo assai inferiore rispetto a quanto non facessero nelle prime fasi della loro evoluzione.
Per poter studiare ancora più in dettaglio le caratteristiche dei buchi neri non resta che attendere nuovi e potenti strumenti come Athena, l’Advanced Telescope for High ENergy Astrophysics dell’ESA, che permetterà agli astronomi di osservare centinaia di migliaia di buchi neri supermassicci, rilevando gli outflows con grande facilità. Athena sarà cento volte più sensibile di XMM-Newton e il lancio è previsto nel 2030. Norbert Schartel, project scientist di XMM-Newton all’ESA, ha commentato: “Trovare una sorgente è fantastico, ma la vera svolta sarebbe scoprire che questo fenomeno è comune nell’universo. Anche con XMM-Newton, nel prossimo decennio, potremmo essere in grado di trovare altre sorgenti come questa”. (Fonte AGI e Astronomy & Astrophysics)