In coma dopo un intervento al dente, la moglie: “Meglio farlo morire”

CATANIA – In coma dopo un intervento a un dente. E’ la tragica storia, raccontata dal Corriere della Sera, di Giuseppe Marletta, architetto di 42 anni, che un anno fa venne ricoverato all’Ospedale Garibaldi per una banalissima operazione: la rimozione di due punti metallici applicati dopo l’estrazione della radice di un dente. Intervento dal quale si sarebbe risvegliato per appena 15 minuti per poi entrare in coma.

“A questo punto è meglio farlo morire. Sono pronta a sospendere l’alimentazione forzata perché lo Stato ha ucciso mio marito e poi lo ha abbandonato al suo destino”, spiega la moglie, Irene Sampognaro, 40 anni, che mercoledì 1 giugno protesta davanti ai cancelli dell’ospedale dove è cominciato il calvario.

“Voglio che tutti sappiano quanto sono crudeli le nostre istituzioni – continua la donna – di fronte ad un allucinante caso di malasanità non riescono a garantire né giustizia né adeguata assistenza. Mio marito prima di entrare in ospedale scoppiava di salute, oggi è immobile in un letto, tracheotomizzato e alimentato con un sondino. Praticamente una vita vegetale se la si può ancora chiamare vita. Solo quando ti ci trovi dentro capisci veramente il caso Englaro. In Italia lo Stato è crudelmente ipocrita: dice di essere per la vita ma in realtà ti spinge a scegliere la strada della morte”.

L’architetto Marletta è attualmente ricoverato in una struttura convenzionata con l’Azienda sanitaria dove però la moglie deve farsi carico di una parte sostanziosa dei costi. “Mille euro al mese, praticamente tutto il mio stipendio di insegnante. Ho chiesto aiuto al ministro della salute, all’assessore alla sanità Massimo Russo, alle istituzioni locali. Tutti mi hanno sbattuto la porta in faccia. Eppure mio marito è stato ucciso da un ospedale pubblico. Perché nessuno paga?”.

“Perché – tuona ancora Irene Sampognaro – l’assessore alla sanità non ha mandato nemmeno gli ispettori? Perché non sono stati presi provvedimenti contro i medici? Ho saputo che ad un anno dai fatti non è stata nemmeno sequestrata la cartella clinica. Il massimo della beffa è stato scoprire che anche dopo quello che avevano combinato, stando agli accertamenti strumentali, mio marito non è guarito neppure dalla sinusite”.

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