Fumo e coronavirus, studio italiano: "Fumatori meno a rischio contagio" Fumo e coronavirus, studio italiano: "Fumatori meno a rischio contagio"

Fumo e coronavirus, studio italiano: “Fumatori meno a rischio contagio”

ROMA – Sono emerse prove a sostegno del fatto che i fumatori potrebbero avere cinque volte meno probabilità di contrarre il coronavirus, ma allo stesso tempo potrebbero essere molto più vulnerabili in caso di contagio, con il doppio della mortalità in caso di infezione.

Almeno questo è quanto sostiene uno studio italiano, condotto da Nicola Gaibazzi, specialista in Cardiologia e Medicina Interna presso l’azienda ospedaliero-universitaria di Parma. I risultati sono stati pubblicati sul MedRxiv.

“Abbiamo analizzato 423 casi, da cui è emerso che solo il 4,8 per cento dei nostri pazienti rientrava nella percentuale dei fumatori attivi, un dato sproporzionato rispetto al fatto che il 24 per cento della popolazione totale rientri in questa categoria” spiega Gaibazzi.

Della coorte italiana, che aveva un’età media di 71 anni, è morto circa il 35 per cento.

Uomini e persone con malattie cardiache sono risultate maggiormente a rischio.

I non fumatori costituivano l’85 per cento delle vittime, i fumatori il 6 per cento e gli ex-fumatori il 9 per cento.

Tuttavia, i fumatori attivi avevano una probabilità del 50 per cento di sopravvivere una volta ricoverati in ospedale.

Il 47 per cento di quelli ammessi è infatti deceduto. In confronto, poco più di un terzo dei non fumatori è morto.

“I non fumatori costituivano l’85 per cento delle vittime, i fumatori il 6 per cento e gli ex fumatori il 9 per cento, ma non sappiamo ancora quali siano i meccanismi che possano governare tale andamento”, prosegue il ricercatore, che ha elaborato una propria teoria a riguardo, ritenendo che “l’esposizione al tabacco e alle sostanze chimiche presenti nelle sigarette influiscono sul sistema immunitario nel tempo, per cui si registrano marker infiammatori più bassi.

Secondo questa teoria, quando i fumatori vengono infettati da Sars-CoV-2, il sistema immunitario potrebbe essere in qualche modo più “tollerante”, e non reagire in modo eccessivo.

Per Gaibazzi, infatti, spesso è la risposta dell’organismo al virus, piuttosto che il virus stesso, a svolgere un ruolo importante nel modo in cui una persona si ammala.

A conclusioni simili è arrivato un altro studio, questa volta britannico, condotto dall’University College London e pubblicato sul dito Qeios.

“In genere i fumatori corrono un rischio maggiore di infezione perché la conformazione interna dei polmoni, che aiutano ad allontanare patogeni, è danneggiata dalle sostanze tossiche, ma allo stesso tempo in realtà abbiamo osservato che i fumatori sembrano in qualche modo protetti dalle infezioni”, sottolinea David Simons dell’University College di Londra, autore principale dello studio.

“Abbiamo esaminato 28 studi che hanno coinvolto più di 23 mila persone, 22 condotti in Cina, tre negli Stati Uniti, uno nella Corea del Sud, uno in Francia e uno era uno studio internazionale che utilizzava principalmente dati del Regno Unito”, prosegue l’esperto.

“I fumatori avevano più probabilità di eseguire il test, ma i dati ci sono sembrati particolari.

Alcuni studi sembravano non riscontrare differenze significative tra tassi di mortalità di fumatori e non, ma mettiamo in conto che le informazioni a nostra disposizione potrebbero essere incomplete”, dichiara Simons.

Esiste una correlazione particolare tra fumo e coronavirus.

Sappiamo che il fumo è legato a problematiche respiratorie ed è una delle principali cause di morte nel Regno Unito e in molti altri paesi” afferma Linda Bauld, docente di Sanità pubblica presso l’Università di Edimburgo, ammettendo che i risultati di questi studi sono sorprendenti.

“Non sappiamo ancora a cosa siano dovuti questi dati, ma i governi continuano a raccomandare di evitare di fumare, e ad ogni modo continueremo a indagare” conclude Simons. (fonte AGI)

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