Per oltre mille anni, le fitte foreste dello stato messicano di Campeche hanno custodito segreti sull’antica civiltà Maya. Questa regione, situata nelle Lowlands Maya, comprende territori che si estendono su attuali aree di Belize, El Salvador, Guatemala e Messico sud-orientale. Fino a oggi, Campeche è stato considerato un “punto bianco” dall’archeologia, privo di documentazione sulle antiche strutture Maya. Tuttavia, una recente scoperta ha fatto luce su migliaia di strutture nascoste e su una grande città, ribattezzata Valeriana.
Gli archeologi hanno individuato queste strutture grazie alla tecnologia LiDAR, che utilizza impulsi laser per penetrare la densa vegetazione della foresta e rivelare il terreno sottostante. Le scansioni, eseguite nel 2013 per uno studio forestale di The Nature Conservancy of Mexico, hanno coperto circa 122 chilometri quadrati e rivelato un’area sorprendente. La città di Valeriana presenta caratteristiche comuni alle capitali Maya, come una riserva d’acqua, un campo per il gioco della palla, piramidi-templi e strade che collegano le piazze. In totale, sono state identificate 6.764 strutture sia a Valeriana sia in insediamenti vicini.
Il ricercatore Luke Auld-Thomas, autore principale dello studio, ha dichiarato che la scoperta è stata al tempo stesso sorprendente e confermativa di quanto sospettava. Campeche, infatti, è incastonato tra aree già studiate, come il nord dello Yucatán e il sud delle Lowlands Maya, dove sono presenti siti celebri come Chichén Itzá. Tuttavia, finora gli archeologi avevano trascurato questa regione per la sua difficoltà di accesso e la mancanza di artefatti noti. Oggi, con l’aiuto del LiDAR, si sta scoprendo una realtà complessa che cambia la comprensione delle Lowlands Maya.
Carlos Morales-Aguilar, un archeologo dell’Università del Texas, ha osservato come queste scoperte rivelino un’organizzazione territoriale e una gestione ambientale molto sviluppate. Le città erano collegate tra loro tramite strade e comprendono terreni agricoli, strutture difensive e sistemi di gestione dell’acqua che sfruttavano elementi naturali come doline e depressioni. Questi dati sfidano l’idea tradizionale che vedeva le città Maya come piccoli stati isolati e suggeriscono, piuttosto, una rete complessa e interconnessa di insediamenti.
Secondo Tomás Gallareta Cervera, professore di antropologia al Kenyon College, la tecnologia LiDAR sta trasformando l’archeologia Maya. L’analisi LiDAR ha rivoluzionato lo studio dei modelli di urbanizzazione, permettendo di capire come i Maya abbiano adattato l’ambiente alle loro necessità per migliaia di anni. Questa tecnologia offre agli archeologi una nuova prospettiva per approfondire come questa civiltà prosperasse nel suo habitat.
Questi siti Maya, pur sopravvissuti per secoli, sono ora a rischio, e capire l’estensione delle loro strutture sarà essenziale per proteggerli. Auld-Thomas sottolinea l’importanza di considerare questi luoghi non solo come reperti storici ma anche come territori che hanno ospitato comunità umane nel tempo. La conservazione di questi siti richiede quindi un approccio che tenga conto della loro storia e delle popolazioni che li hanno abitati.
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