ROMA – L‘intelligenza artificiale diventa sempre più una realtà e anche sul mercato gli analisti iniziano a quantificare il suo valore. Ben 900 milioni di dollari l’anno, questa solo una stima della Oxford University ben raggiungibile se si considera che Google ha offerto 400 milioni di dollari per acquistare DeepMind. E il mercato è destinato ad allargarsi, con inevitabili guadagni dalle applicazioni che il grande potenziale dell’intelligenza artificiale offre alla tecnologia e alla scienza.
E Google non ha perso occasione di avvantaggiarsi, offrendo così 400 milioni di dollari per DeepMind, creatura del neuroscienziato Demis Hassabis. DeepMind avrebbe sviluppato diversi approcci relativi all’intelligenza artificiale e vari potenziali prodotti tra cui un sistema legato all’e-commerce.
Secondo quanto riportato dal blog erede dell’autorevole AllThingsD del Wall Street Journal, sarebbe stato lo stesso amministratore delegato di Google, Larry Page, a chiudere l’affare. Hassabis, ‘padre’ di DeepMind, è un ex bambino prodigio degli scacchi.
Questa non è certo la prima acquisizione di Google nel settore: la più recente è la Boston Dynamics, specializzata in robot per attività militari, ottava azienda specializzata in intelligenza artificiale acquisita dal colosso di Mountain View nel corso del 2013 con l’obiettivo di realizzare una vera ”rivoluzione” nel campo degli automi umanoidi.
Giuditta Mosca sul Sole 24 Ore spiega che la parola chiave per l’intelligenza artificiale è la “complessità”:
“supercomputer (la complessità comporta enormi moli di dati), la ricerca di nuovi materiali e nuovi procedimenti di calcolo e, infine, l’intelligenza artificiale. Questa, in breve, si propone lo scopo di comprendere il funzionamento – in senso olistico – della mente umana e riprodurlo in modo, appunto, artificiale”.
Il potenziale di una intelligenza artificiale è vasto:
“Da automi ad autonomi il passo è tutt’altro che breve. Esistono già alcuni tipi di robot che possono essere “addestrati” per svolgere una serie limitata di funzioni. L’Università di Pisa, nel 2012, ha presentato “Face”, un robot nato dalla collaborazione con la texana Hanson Robotics, capace di interagire con l’uomo facendo uso delle espressioni facciali (comunicazione non verbale) che riesce a riprodurre grazie a 32 diversi motori. Tutto questo, e non è poco, in un’epoca in cui quelli che comunemente chiamiamo “robot” sono macchine che svolgono funzioni limitate e dietro controllo umano. C’è ancora tantissima strada da fare”.
E se le macchine da sempre sono considerate freddi calcolatori, l’intelligenza artificiale apre alle emozioni:
“Esistono robot capaci di comprendere le emozioni analizzando le mimiche facciali o il tono della voce. Al di là dell’uso che si può fare di tali macchine ciò che è necessario superare sono gli scopi tipici dei robot, quelli della memorizzazione e l’analisi dei dati, entrambi necessari per lo sviluppo dell’AI ma che non sono scopi ultimi, piuttosto anelli di una catena”.