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Scienza

La nuova plastica vivente che che si decompone in 30 giorni

L’inquinamento da plastica rappresenta una delle emergenze ambientali più gravi del nostro tempo. Ogni anno, milioni di tonnellate di plastica finiscono nei mari, nei fiumi e nei nostri territori, causando danni inestimabili agli ecosistemi e minacciando la salute umana. Di fronte a questa crisi globale, un gruppo di ricercatori cinesi ha sviluppato una plastica vivente capace di degradarsi completamente in appena 30 giorni.

La plastica vivente, scoperta incredibile

Il team di ricerca che ha lavorato a questa innovativa plastica vivente è composto da scienziati dell’Istituto di biologia sintetica e dell’Istituto di tecnologia avanzata di Shenzhen, parte dell’Accademia cinese delle scienze, in collaborazione con esperti dell’Università Meridionale della Scienza e della Tecnologia e del Centro dei polimeri in Medicina. Coordinati dal professor Chenwang Tang, i ricercatori hanno sfruttato una particolare combinazione di batteri per creare un materiale che si decompone rapidamente, riducendo in modo significativo l’impatto ambientale dei rifiuti plastici.

Questa plastica è definita “vivente” perché al suo interno contiene spore batteriche che rimangono dormienti fino a quando non inizia il processo di degradazione. Quando la plastica comincia a decomporsi, queste spore si attivano, liberando enzimi che accelerano la disgregazione del materiale, portandolo a una completa biodegradazione in circa un mese. Questo rappresenta un avanzamento straordinario rispetto alle plastiche biodegradabili tradizionali, che possono richiedere anni per decomporsi completamente.

rifiuti di plastica che inquinano le spiagge (blitzquotidiano.it)

Come funziona la plastica vivente

Il funzionamento di questa plastica vivente si basa su una combinazione di biotecnologie avanzate. I ricercatori hanno scoperto nel 2016, in un centro di riciclaggio giapponese, un batterio capace di degradare i polimeri plastici. Questo batterio, Burkholderia cepacia, produce un enzima noto come BC-lipasi, che è particolarmente efficace nel rompere le lunghe catene molecolari della plastica.

Per rendere questo processo ancora più efficiente, il team ha incapsulato l’enzima BC-lipasi nelle spore di un altro batterio, Bacillus subtilis, noto per la sua resistenza alle sollecitazioni ambientali e meccaniche. Queste spore, una volta integrate nella plastica, rimangono latenti fino a quando non vengono esposte all’ambiente esterno durante la decomposizione. A quel punto, si attivano e iniziano a produrre l’enzima che degrada la plastica, accelerando il processo di degradazione a livelli senza precedenti.

Un futuro senza plastica?

L’innovazione sviluppata dal team del professor Tang potrebbe avere un impatto significativo su diverse industrie, dalla produzione di imballaggi alla realizzazione di beni di consumo monouso. La plastica vivente potrebbe essere utilizzata per creare contenitori, bottiglie e altri oggetti di uso quotidiano che, una volta giunti alla fine del loro ciclo di vita, si degradano completamente in un tempo relativamente breve.

Questa tecnologia non solo ridurrebbe drasticamente il volume di rifiuti plastici che finiscono nelle discariche e negli oceani, ma potrebbe anche ridurre la necessità di processi di riciclaggio complessi e costosi. Inoltre, l’uso di materiali biodegradabili così efficienti potrebbe stimolare ulteriormente l’adozione di pratiche sostenibili da parte delle aziende e dei consumatori, contribuendo a un cambiamento culturale verso una maggiore responsabilità ambientale.

I limiti di questa innovazione

Nonostante il potenziale rivoluzionario, la plastica vivente presenta ancora alcune sfide che devono essere affrontate prima che possa essere ampiamente adottata. Una delle principali preoccupazioni riguarda la stabilità delle spore batteriche nel tempo e la loro capacità di attivarsi in maniera controllata. Sebbene le spore siano state progettate per resistere a condizioni ambientali avverse e per rimanere stabili durante il processo di produzione della plastica, è necessario assicurarsi che non si attivino prematuramente o che non perdano efficacia nel tempo.

Un’altra sfida riguarda la scalabilità della produzione. Attualmente, la plastica vivente è stata testata solo in laboratorio, e il passaggio a una produzione industriale su larga scala potrebbe presentare difficoltà tecniche e logistiche significative. Sarà necessario sviluppare processi di produzione che possano garantire la qualità e l’efficacia del materiale su vasta scala, mantenendo al contempo i costi competitivi rispetto alle plastiche tradizionali.

Claudia Montanari

Nata nel 1985 a Roma. Una laurea in lettere con indirizzo moda e comunicazione, sostengo che Roberto Rossellini, lo Stedelijk Museum, Naruto e Lena Dunham mi abbiano cambiato la vita. Da più di 10 anni lavoro come society journalist per ladyblitz e blitzquotidiano occupandomi di moda, lifestyle, salute, viaggi e bellezza.

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