La nuova missione di Google: diventare una media company

NEW YORK – Google finora ha accolto, organizzato e gestito le notizie,  come una sorta di collezionista di informazioni. Presto potrebbe non essere più solo così, perché la nuova missione del gigante di Mountain View è diventare una media company, come la chiamano gli americani.

L’intento sarebbe quello di produrre e filtrare i contenuti oltre all’attività di scelta, ricerca e catalogazione. Come fa notare David Carr dalle colonne del New York Times, il 96 per cento dei ricavi di Google arriva dalla pubblicità.

Inoltre “Big G” ha una piattaforma video che sta trattando con la National Basketball Association ed è pronta a sviluppare un servizio di abbonamento plug-and-play per editori e consumatori di tutto il mondo che consentirebbe loro di acquistare notizie e informazioni con la sola fatica di un clic. Si chiama One Pass e funzionerebbe esclusivamente sul web.

A questo si aggiunge, fra i prossimi progetti pronti a entrare sul mercato, un nuovo software chiamato Honeycomb che è stato concepito per rendere le informazioni sempre più attraenti e mobili.

La riscossa di Google parte in primis da Youtube, che è di sua proprietà ed è nato inizialmente come una user-generated free-for-all, cioè un sito web che consente la condivisione gratuita di video caricati dagli utenti stessi. Nel tempo esso si è organizzato e si è dotato di canali con argomenti diversi: “Intrattenimento”, “Notizie e politica” e “Sport” . Persino Al Jazeera English ha adesso un suo canale su Youtube ed è diventato il terzo più visto al mondo.

L’obiettivo più vicino dunque è quello di cercare di intercettare buona parte del mondo dello sport con Nba e National Hockey League perché, lo dice anche il tycoon dell’editoria Rupert Murdoch, “lo sport è un’ottima strada da battere per portare un network a durare nel tempo”.

Ma c’è di più, perché Google ha stanziato 100 milioni di dollari a reti tv e celebrità del piccolo schermo affinché consentano visione e programmazione dei propri canali su YouTube, così da aumentare l’attrattività dei contenuti presenti sulla piattaforma rendendoli anche qualitativamente più alti. Il progetto in realtà non è recente, ma da spingere ancora, sull’esempio della britannica Channel 4 che ha firmato un contratto di tre anni nel 2009 affinché i suoi programmi andassero direttamente in streaming su Youtube.

Per quanto riguarda il suo ruolo principe, quello del motore di ricerca, Google ha ottimizzato i suoi codici per intercettare solo notizie e informazioni ritenute attendibili e di più alta qualità nel calderone di link spazzatura e di spam che affollano la rete.

“Google dipende dalla qualità dei siti web di tutto il mondo,  noi abbiamo la responsabilità di favorire un sano ecosistema web”, ha dichiarato la società in una nota che, come scrive il New York Times, suona più come il comunicato di una media company che di un colosso dell’hi-tech.

Jonathan Glick, il direttore generale di Sulia, una media company che filtra e pubblica in tempo reale i contenuti di Twitter, ha detto che Google è in avanscoperta proprio verso nuovi lidi. “Adesso si stanno muovendo verso altre strade: non più guardando anche alle motivazioni di ci produce rispetto al contenuto stesso”.

Mentre “Big G” avanza nel campo dei media,  i concorrenti non stanno certo a guardare. Apple sta spendendo una grande quantità di energia per precettare i grandi colossi dell’editoria nel suo piano di abbonamento per l’iPad. Netflix non vuole più negoziare solo l’accesso ai contenuti prodotti da altri,  ha annunciato di aver ottenuto i diritti per una serie televisiva originale interpretato da Kevin Spacey e diretto da David Fincher.

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