Le molecole della memoria: IGF2 e lattato sono la “colla” dei ricordi

ROMA – I meccanismi della memoria umani sono oggetto di studi continui ed ora grazie a Cristina Alberini, docente di neuroscienze al Mount Sinai Medical Center di New York, sono state scoperte le molecole che fanno da “colla” ai nostri ricordi, molecole che potrebbero aiutare la medicina nella diagnosi e nella cura dei malati di Alzheimer. Gli studi pubblicati sulle riviste Nature e Cell hanno evidenziato il ruolo svolto da queste molecole nella formazione della memoria a lungo termine.

La dottoressa Alberini ha spiegato che “in passato il fenomeno della memoria è sempre stato indagato da un punto di vista psicologico. Le uniche conoscenze in campo biologico, datate Anni 60, avevano evidenziato che, bloccando la sintesi proteica, la memoria a lungo termine veniva compromessa”, un’informazione esatta ma non sufficiente a svelare i complessi meccanismi chimici e biologici che regolano i processi cognitivi.

Gli studi successi condotti sulle drosofile, i moscerini da frutta, hanno evidenziato come il fattore trascrizionale C/EBP influisca sulla produzione di proteine quali la IGF2 (Fattore di crescita insulinico 2), e costituiscono un notevole passo avanti poiché i fattori trascrizionali C/EBP sono presenti anche nei mammiferi. Individuata dunque la proteina IGF 2 la dottoressa Alberini ed il suo team hanno condotto dei test sui topi, evidenziando la connessione tra alta produzione di tale proteina e facilità nel processo di memorizzazione :”nel test abbiamo visto che nel periodo di memorizzazione dell’evento i valori di IGF2 a livello dell’ippocampo aumentavano significativamente”.

“Sorprendentemente, rimuovendo questo fattore attraverso l’utilizzo di un inibitore, la memoria a lungo termine non si instaurava più e il topo tornava nella stanza dove subiva nuovamente lo shock elettrico. L’animale aveva perso la memoria e non era in grado di ricordare”, ha poi aggiunto l’Alberini. Inoltre i ricercatori hanno notato che somministrando a topi, la cui produzione della proteina non era inibita, dosi aggiuntive di IGF2 notando che l’evento veniva memorizzato in maniera più duratura e forte.

L’altro studio che è stato pubblicato sulla rivista Cell riguarda gli astrociti, particolari cellule nervose che fungono da collegamento tra i neuroni ed i vasi sanguigni, “considerate in passato solo per la loro funzione trofica nei confronti dei neuroni, sono invece in grado di influenzare l’attività dei neuroni stessi”, anche se in realtà l’effetto sulla memoria è legato al lattato, una molecola presente solo in queste cellule e prodotta dal metabolismo del glicogeno e non dall’astrocita stesso.

“L’idea di investigare il ruolo del lattato sulla memoria è nata dall’ipotesi che questa molecola possa venir sfruttata dai neuroni, quando c’è una richiesta di energia come nel caso della formazione della memoria”, ha osservato la ricercatrice, che ha così spiegato quanto siano simili i comportamenti delle due proteine nell’influenzare i processi di memorizzazione a lungo termine. “Più conosciamo i processi legati alla formazione della memoria e al suo mantenimento e più sappiamo dove guardare per cercare di curare malattie come l’Alzheimer. Supponendo che i livelli di IGF2 e di lattato diminuiscano con il progredire dell’età e della malattia, è plausibile pensare che il ripristino dei livelli possa prevenire il decadimento mentale. Le loro alterazioni, inoltre, potrebbero essere anche sfruttate per una diagnosi precoce”.

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