Quasi uccidono per una patente, ma il peggior reato di quei quattro è la bugia dell’aver “perso la testa”

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 26 Aprile 2011 - 15:37 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Dicono, piagnucolano che “hanno perso la testa”. Mentono e la loro bugia, la protervia e la violenza che c’è nella loro menzogna è, se possibile, di più e di peggio di quel che hanno fatto prima di tentare di nascondersi dietro la bugia. Non “ha perso la testa” chi aggredisce alle spalle due carabinieri, chi li massacra con un bastone. Non c’è “raptus” che allevii la responsabilità dell’atto criminale. Ma, anche se fosse, del “raptus” non restya più traccia quando fuggendo ti porti via i verbali dove sopra c’è il tuo nome. Vuol dire che hai avuto il tempo e la lucidità per pensarci, per pensare di farla franca. E non c’è “raptus” nel fuggire con l’auto, nel tentare di speronare un’altra macchina dei carabinieri, nel puntare sulle vie affollate di un paese per creare un diversivo, per obbligare gli inseguitori a fermarsi per non mettersi a rischio di investire passanti. E’ un lungo, prolungato, coerente, ragionato e voluto disegno criminale quello dei quattro ragazzi fermati dai carabinieri nella Maremma tra Sorano e Manciano, quella dei quattro che, per non farsi ritirare la patente perché chi guidava era ubriaco alle dieci del mattino, hanno messo in conto di uccidere. E poi di mentire, accampando la pavida e putrida scusa dell’aver “perso la testa”.

I Carabinieri, Antonio Santarelli e Domenico Marino, sono in ospedale con ferite gravissime. Loro, a partire da Matteo Gorelli, sono per il momento sotto interrogatorio. Lui ripete come un automa: “quella patente contava tanto per me, non potevo perderla”. Gli altri tre, minorenni, raccontano, balbettano di “non entrarci nulla”, di “non aver capito nulla di quel che succedeva”. La ragazza del gruppo è arrivata a pregare di “non farlo sapere ai genitori”. No, non è colpa della droga, se droga avevano assunto. E neanche del rave party da cui venivano o andavano. E’ colpa loro e solo loro, della loro criminale irresponsabilità e violenza. Adesso la somma, la maledetta somma di una sociologia che scambia e confonde comprensione dei fatti con giustificazione dei fatti, del perdonismo familistico e della copertura che ogni tribù e corporazione garantisce ai suoi affiliati e pargoli, farà sì che quei quattro avranno attenuanti e sconti. Non di legge e di pena, che questi ci “stanno”. Avranno attenuanti nella opinione pubblica “di prossimità”, quella che presto ricorderà che erano ragazzi qualunque e normali prima di aver “perso la testa”. E avranno, anche loro, lo sconto massimo che questa società amorale concede sempre a se stessa: lo sconto di non essere responsabili delle loro azioni. Meriterebbero quei quattro il massimo della pena, morale e non detentiva, per aver offeso e picchiato ancora una volta le loro vittime recitanto l’oscena sceneggiata dello “abbiamo perso la testa”. Non l’avranno quella pena, sarannoa scoltati e non zittiti mentre recitano la menzogna. Il peggiore dei loro reati, il reato per il quale già trovano complici più o meno inconsapevoli.