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Commercianti contro sindacati: primo maggio di shopping e scioperi. I soldi contro la festa

di Alberto Francavilla |29 Aprile 2010 17:15

Il celebre dipinto "Quarto Stato", realizzato da Giuseppe Pellizza da Volpedo

Qual è il colmo per un un lavoratore? Timbrare il cartellino il Primo maggio. Quella che sembra una barzelletta sarà invece la realtà per molti dipendenti italiani, in particolare commessi di esercizi commerciali. Nel giorno in cui si celebra la Festa dei lavoratori, le serrande dei negozi resteranno invece alzate in diverse città del Paese, in nome della “lotta alla crisi”. Come se bastasse andare a fare compere per risolvere i problemi di un commercio sempre più in difficoltà e di lavoratori sempre più precari e sfruttati.

La questione è diventata una battaglia di principio tra commercianti e sindacati. I primi ritengono che non si possa perdere l’occasione di  dare una spintarella ai consumi durante un sabato di inizio mese, quando i portafogli dei consumatori sono ancora rigogliosi. I sindacalisti accusano i negozianti di voler trasformare la Festa dei lavoratori nella “Festa del consumo”, con la complicità delle amministrazioni locali. Alcuni Comuni hanno infatti concesso ai commercianti la deroga per l’apertura in quello che dovrebbe essere il giorno “sacro” per chi fatica, alla faccia dei diritti di commessi e garzoni.

Per questo i sindacati hanno portato avanti un’aspra battaglia che in alcune città si è rivelata un vero e proprio braccio di ferro: a Firenze, dove la giunta di sinistra guidata da Renzi ha autorizzato l’apertura “totale” a negozi e botteghe, Cgil, Cisl e Uil hanno indetto lo sciopero generale.  Uno sciopero nella giornata del Primo maggio suona come un paradosso, e invece sarà necessario a difendere un diritto che dovrebbe essere acquisito da più di 100 anni. Il Comune ha inoltre bypassato anche la legge regionale toscana che prevede 4 feste inderogabili: 25 e 26 dicembre, Capodanno e appunto Primo maggio. Le manifestazioni dei confederali non si fermeranno a Firenze: altre mobilitazioni per lo stesso motivo sono previste ad esempio a Monza e Siena.

I sindacati hanno ottenuto la loro prima vittoria a Milano, dove il sindaco Moratti in un primo momento aveva accordato l’apertura straordinaria degli esercizi commerciali. Dopo una riunione con il comitato per l’ordine pubblico, il primo cittadino ha fatto dietrofront e ha ordinato che i negozi rimangano chiusi. La decisione di salvaguardare una festa “laica” ha trovato d’accordo non solo i sindacati, ma persino la Curia: “E’ illusorio pensare di risolvere la crisi rinunciando a un giorno di riposo”, ha detto don Walter Mengoni.

Oltre a questi casi, ci sono in giro per l’Italia altri esempi di aperture “parziali”: a Napoli negozi e ristoranti saranno regolarmente attivi al Vomero e nelle zone del centro. Idem a Genova, dove l’apertura è stata concessa non solo ai negozi dell’area turistica, ma anche ad alcuni ipermercati. A Torino invece nessuno si è opposto all’apertura degli esercizi in centro, ma in questo caso si è di fronte ad un evento considerato “eccezionale” come l’ostensione della Sindone, che sta richiamando in città orde di fedeli. A Roma il Comune si è opposto all’apertura straordinaria, ma sta ricevendo tantissime pressioni dalla Confcommercio e non è detto che fino all’ultimo non cambi idea. D’altronde la giunta Alemanno si è sempre dimostrata sensibile alle esigenze della categoria.

Negli altri Paesi nessuno si sogna di tenere le serrande aperte spacciandola come soluzione per arginare la crisi. Tra tutte le maggiori capitali europee, l’unica in cui si continuerà a lavorare regolarmente è Mosca. Forse fa parte degli accordi tra Berlusconi e Putin?

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