A spasso per luoghi comuni. “Buon compleanno, al paese più bello del mondo”: Riotta si congeda dal Sole 24 Ore

Roma – Gianni Riotta si congeda dai lettori del Sole 24 Ore con un ultimo editoriale: saluti rituali, ringraziamenti obbligati e tutto l’understatement necessario a mandar giù la delusione senza farlo trapelare. Ma in più, sfruttando la concomitanza delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, si esercita in una sviolinata patriottica che quasi quasi uno finisce per dar ragione a Borghezio. “Buon compleanno al paese più bello del mondo”: già il titolo è tutto un programma. Ma perché l’italianità dovrebbe esser una fortuna inimitabile? Passi per il mare e la montagna, che son luoghi comuni, ma rilassanti. Vanno bene i monumenti e le rovine, anche se non si capisce, visto lo stato della cultura, se ne mangiamo troppa o troppo poca. No, siamo fortunati e non sappiamo di esserlo, perché naturalmente inclini al melodramma. Voleva dire, Riotta, che il nostro dna è ostaggio di una partitura per mandolino? E gli spaghetti no?

Lasciamo stare poi che questa fortuna incredibile riusciamo a comprenderla solo una volta espatriati. Sarà per questo che i migliori cervelli nostrani fuggono mentre i capitali stranieri da noi più non giungono. Secondo Riotta, questa solida, inscalfibile fortuna, del resto, poggia sulla nostra più grande gloria nazionale, la lingua italiana. Una lingua magnifica e duttile, eminentemente letteraria, che dal Petrarca in poi ha forgiato un’idea di nazione a suon di versi mezzo millennio prima che quella stessa nazione prendesse finalmente corpo. Ma quell’unità linguistica tanto decantata è diventata realtà, cioè disponibile per tutto il popolo, solo con la prima guerra mondiale e soprattutto con l’avvento della televisione negli anni ’50, unica e vera maestra e pedagoga. L’italiano di Petrarca era, ed è rimasto per secoli, la lingua delle elites, del notabilariato, dei preti orfani del latino, mentre la maggioranza della popolazione tirava avanti nella miseria bestemmiando in dialetto. “La mediocrità, le camarille, i giochi di potere che sabotano il merito”, sono questi i difetti che per Riotta una classe dirigente degna di questo nome deve evitare. Ma è proprio questa, per l’appunto, l’eredità  maggiore della classe dei “benparlanti”.

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