Scajola, Anemone, Incalza: i “totalmente sereni”

Pubblicato il 13 Maggio 2010 - 14:58 OLTRE 6 MESI FA

Fateci caso: la prima orgogliosa frase che regolarmente pronuncia chiunque, ministro, imprenditore, costruttore, faccendiere, geometra, autista, ragazza immagine, consigliere o assessore regionale o comunale, architetto, manager pubblico o privato consulente finanziario quando è sospettato, coinvolto, indagato, toccato o investito da una storia di mazzette in denaro, immobili, natura e favori vari, è sempre e comunque: “Sono sereno”. Sono tutti “sereni” e uno si chiede come facciano a restare tali. Innocenti forse sì, talvolta perfino vittime. Ma “sereni”? Uno normale, uno che non appartenga a questa robusta compagnia di uomini e donne dai nervi saldissimi, si preoccupa e si agita. Tanto più se innocente o vittima. Se a casa vostra arriva via posta un plico verde con dentro un atto giudiziario qualsiasi a vostro nome intestato, allora regolarmente voi vi agitate. La cosa vi turba, vi angustia, telefonate a tutti per sapere, chiamate avvocati ed esperti, diventate una furia, un fascio di nervi tesi. Invece gli Scajola, gli Anemone, gli Incalza, i Lunardi, solo per citare gli ultimi della cronaca, la prima cosa che fanno è far sapere di “essere sereni”. Spesso aggiungono: “totalmente sereni”.

Scajola nel giorno delle dimissioni

Sono pazzi? No, sono esperti. Prendete l’ex ministro Scajola. Aveva detto “sono sereno e chiarirò tutto davanti ai magistrati”. Lo ha detto per una settimana di fila. Poi, una settimana dopo, ha deciso che dai magistrati non ci va più, quelli di Perugia lui li giudica “inaffidabili”. Forse era “sereno” perché sapeva fin da subito che non ci sarebbe andato a “chiarire” dai magistrati e che, alle brutte, l’avrebbe insieme ai suoi avvocati tirata in lungo con la storia delle “competenze territoriali”, della giurisdizione da Tribunale dei ministri? Forse era questa l’origine e la fonte della sua “serenità”. Possibile, anzi probabile in un mondo dove altri ministri e parlamentari a quintalate esprimono “solidarietà” a un signore che dichiara di “sospettare” che la casa gli sia stata comprata e pagata da ignoti per due terzi del suo valore. La solidarietà in gran quantità regalata a Scajola è, secondo la dizione ufficiale in voga, “solidarietà umana”. Traduciamo: mi dispiace che ti abbiano beccato. E traduciamo pure la “serenità alla Scajola”: tanto non mi prendete.

C’è anche altro tipo di serenità: quella alla Incalza. Il manager è stato coinvolto e toccato da almeno due inchieste su grandi mazzette di Stato sulle Ferrovie e dintorni. Tutte e due le volte ne è uscito per “prescrizione del reato”. E tutte le volte, per un paio di decenni, lui è rimasto manager e consulente degli affari di Stato. Non un graffio alla sua carriera. Incalza sa come vanno le cose, le ha sperimentate, è ormai uomo di mondo: “sereno” che il fastidio passerà, senza danno. Come si vede i “totalmente sereni” hanno in fondo ragione: al dunque e alla fine non succede nulla o quasi. Un pizzico di accenno alla “persecuzione giudiziaria”, il sale del richiamo alla “famiglia coinvolta”, la spezia della ricusazione del giudice, il fuoco lento del rinvio giudiziario, l’olio e il burro della solidarietà concreta che non ti fa uscire dal giro che conta e che può, e la ristoratrice pietanza della “serenità” è cotta a puntino. In più mezzo paese è disposto a perdonarti per superiori  ragioni politiche: al posto loro c’è davvero da essere “sereni”.