Solitudine, scarso spirito di solidarietà e svogliatezza per una scuola in crisi: è il disagio raccontato da una professoressa di tedesco in una lettera al Corriere della Sera.
«Spesso ci sentiamo soli, isolati, non solo perché il nostro lavoro è poco riconosciuto, ma anche perché all’interno della scuola in genere ci sono troppi conflitti e manca per così dire lo spirito di corpo, il fatto di essere una squadra; scuola quindi specchio di una società divisa, a volte con conseguenze negative per gli studenti».
Così in pratica spuntano tre classi di docenti: l’insegnante mamma, quella amicona e quella psicologa. Poi ancora quella in standbye e ancora quella burocrate.
Poi lo smarrimento e le critiche al sistema dei punteggi, l’insegnante tira in ballo il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: «Ma il ministro Gelmini non aveva detto che la scuola non è un ente assistenziale? Subito dopo i precari, sono stati gli insegnanti di ruolo single/senza figli le prime vittime della riforma; come mantenere l’entusiasmo dei primi tempi, se quello che si fa per migliorare e coinvolgere gli alunni non viene comunque riconosciuto? Scambi con l’estero, progetti europei, certificazioni, le famose visite di istruzione, dette comunemente «gite», progetti per gli studenti stranieri ecc. sono tutti extra miseramente retribuiti, che non valgono nemmeno per il punteggio».
Infine una riflessione sul modello Gentile e di quegli insegnanti rimasti ancora con la schiena dritta. «Però, se la scuola pubblica nonostante riforme improvvisate, proclami, minacce e calunnie continua a camminare, magari in modo incerto, vuol dire che ci sono ancora bravi insegnanti che amano il loro lavoro sottostimato, sottopagato, sottovalutato, in altre parole sotterraneo».