L’asteroide Bennu, attualmente in orbita attorno al Sole, si avvicina alla Terra ogni sei anni e, sebbene la probabilità di impatto sia bassa, potrebbe avere conseguenze catastrofiche per il nostro pianeta. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances e condotto dagli scienziati della Pusan National University, guidati da Lan Dai e Axel Timmermann. Il team ha utilizzato analisi, modellazioni e simulazioni per esplorare gli effetti di un possibile impatto con la Terra.
Gli scenari dell’impatto
I ricercatori hanno analizzato quattro diversi scenari di impatto, valutando il movimento dei detriti e della polvere che si genererebbero. Sebbene Bennu sia più piccolo del corpo celeste che causò l’estinzione dei dinosauri, le conseguenze di una collisione potrebbero essere devastanti. Nello scenario peggiore, fino a 400 milioni di tonnellate di polvere, aerosol e detriti raggiungerebbero l’atmosfera terrestre, causando una riduzione del 32% dei livelli di ozono. Questo effetto potrebbe abbassare la temperatura globale di circa 4°C.
La diminuzione delle temperature porterebbe a un calo delle precipitazioni del 15%, innescando un “inverno globale” e riducendo drasticamente la produttività agricola. “La storia del nostro pianeta è segnata da eventi di collisione simili,” afferma Lan Dai, “e si ipotizza che alcuni di questi abbiano influenzato l’evoluzione umana e il nostro corredo genetico.”
Un rischio lontano ma reale
Secondo le stime, Bennu potrebbe colpire la Terra tra 157 anni, con una probabilità stimata di circa 1 su 2700. Anche se il rischio appare minimo, le conseguenze sarebbero disastrose. Il più noto evento di impatto nella storia terrestre è quello che portò all’estinzione dei dinosauri, avvenuto circa 66 milioni di anni fa, con la formazione del cratere Chicxulub. Quel corpo celeste misurava circa 10 chilometri, mentre Bennu ha un diametro di circa 500 metri. Tuttavia, le dimensioni ridotte non escludono un potenziale impatto devastante sull’ecosistema globale.
Effetti collaterali
Lo studio sottolinea anche alcuni aspetti potenzialmente positivi. Se la polvere sollevata dall’impatto fosse particolarmente ricca di ferro, potrebbe favorire la proliferazione delle diatomee nel Pacifico equatoriale orientale e nell’Oceano Antartico per i tre anni successivi all’impatto. Tuttavia, i ricercatori precisano che i modelli utilizzati non tengono conto delle emissioni di fuliggine e zolfo derivanti dagli incendi boschivi causati dall’impatto.