ROMA – Non c’è base scientifica per la razza, afferma il National Geographic. Siamo tutti africani, rincara Elizabeth Kolbert, autrice dell’articolo che fa la copertina di tutte le edizioni della rivista americana nel mondo.
Come nota l’autrice, Elizabeth Colbert, “”Per le vittime del razzismo, è una piccola consolazione sentir affermare che la categoria non ha basi scientifiche”. E aggiunge:”Che il concetto di razza sia una costruzione umana non significa che non rientriamo in gruppi diversi o non ci siano differenze. Ma se creiamo categorie razziali, forse possiamo creare nuove tipologie che funzioni meglio”.
L’articolo, che suona anche un po’ come un autodafé,
Il cambiamento umano, prima e dopo l’arrivo del Sapiens, è stato continuo. Così si è evoluto il genere umano, così si sono formate e evolute le razze. Razza ora è una brutta parola. Basta che ci spieghino perché uno è bianco o giallo o nero… La spiegazione sembra risiedere in mutazioni del Dna. Questo spega il colore della pelle, degli occhi, dei peli. Un adattamento evolutivo alle diverse condizioni ambientali fisiche. Difficile resta, almeno per ora, spiegare con la chimica o la biologia le mutazioni culturali, le corse in avanti e le fasi di arresto dei diversi segmenti (razze, nazioni, popoli) dell’umanità. Greci e romani stavano sugli alberi quando Cina e India e Babilonia prosperavano. Elizabeth Kolbert afferma:”Il concetto di razza non ha basi genetiche o scientifiche. Negli ultimi decenni, la ricerca genetica sulle persone ha rivelato due profonde verità. La prima è che tutti gli umani sono strettamente imparentati, più strettamente imparentati di tutti gli scimpanzè, anche se oggi ci sono molti più umani. Ognuno ha la stessa collezione di geni, ma con l’eccezione dei gemelli identici, ognuno ha versioni leggermente diverse di alcuni di essi. Gli studi di questa diversità genetica hanno permesso agli scienziati di ricostruire una sorta di albero genealogico delle popolazioni umane.
E ciò ha rivelato la seconda profonda verità: tutte le persone viventi attualmente sono africane, nel vero senso della parola. Sotto le foto di uno scimpanzé e di un bambino di pochi mesi biondo e con gli occhi celesti, la didascalia è folgorante:”I loro profili del DNA si somigliano al 99%. I geni di due esseri umani, ovviamente, sono ancora più simili. Ma dal momento in cui i nostri antenati hanno perduto la maggior parte dei peli del corpo, abbiamo sviluppato differenze ben visibili nel colore della pelle. La pigmentazione scura ha aiutato i nostri antenati a far fronte all’intenso sole africano; quando gli umani sono emigrati dall’Africa in paesi a bassa luce solare, la pelle più chiara è diventata un vantaggio”. La spiegazione è nei geni:”Molti geni influenzano il modo in cui la melanina colora la pelle umana. Le mutazioni si verificano nei topi e nei pesci. Le variazioni in quattro di essi spiegano in gran parte la diversità del colore della pelle in Africa. Mentre i nostri antenati si diffondevano in tutta la Terra, diverse mutazioni si rivelarono benefiche a diverse latitudini e furono trasmesse”. Una piccolissima mutazione genetica nella sequenza del gene SLC24A5 che determina la pelle più chiara, avvenne 29.000 anni fa in Asia e successivamente si diffuse in Europa. Ma l’Africa è la fonte di altre varianti genetiche, DDB1, MFSD12 e HERC2, che contribuiscono alla pelle più chiara nelle popolazioni di tutto il mondo. I geni mutano casualmente nel tempo. Le mutazioni benefiche tendono ad essere trasmesse alla prole e a diffondersi attraverso una popolazione. La pelle scura è favorita nei tropici perché protegge i tessuti dai pericolosi raggi UV. Nelle regioni con meno sole, la pelle più chiara consente al corpo di assorbire abbastanza raggi UV per sintetizzare la vitamina D, necessaria per mantenere sane le ossa e il sistema immunitario. In Africa sono venute alla luce fattezze umane anatomicamente moderne. L’Homo sapiens, la nostra specie, si è evoluta in Africa, sebbene non siano stati determinati con certezza il tempo e il luogo esatti. La scoperta fossile più recente, in Marocco, fa pensare che le caratteristiche umane anatomicamente moderne abbiano cominciato ad apparire anche 300.000 anni fa. Per i successivi 200.000 anni circa, l’uomo è rimasto in Africa, ma già in quel periodo i gruppi hanno cominciato a spostarsi in diverse parti del continente e si sono isolati gli uni dagli altri, creando in effetti nuove popolazioni. Come abbiamo visto, le date sono molto appese a filo. Non dipendono da un flusso certo di informazioni ma da ritrovamenti casuali, alcuni in grado di coprire il tempo della preistoria indietro di decine di migliaia di anni.
Negli esseri umani, come in tutte le specie, i cambiamenti genetici sono il risultato di mutazioni casuali, minuscole modifiche al DNA, il codice della vita. Le mutazioni avvengono a un ritmo più o meno costante, per cui più a lungo un gruppo permane, tramandando i suoi geni di generazione in generazione, maggiori saranno le modifiche che accumuleranno questi geni. Attualmente, tutti i non-africani, dice la genetica, discendono da poche migliaia di umani che hanno lasciato l’Africa forse 60.000 anni fa. Questi migranti erano più strettamente legati ai gruppi che oggi vivono nell’Africa orientale, tra cui l’Hadza della Tanzania.
Lungo il cammino, forse in Medio Oriente, i viaggiatori si incontrarono e fecero sesso con un’altra specie umana, i Neanderthal; più a est incontrarono i Denisovani. Si ritiene che entrambe le specie si siano evolute in Eurasia da un ominide migrato dall’Africa molto prima. Alcuni scienziati sostengono inoltre che l’esodo di 60.000 anni fa, fosse in realtà la seconda ondata di umani moderni a lasciare l’Africa. Se così fosse, a giudicare dai nostri genomi attuali, la seconda ondata sommerse la prima. Talvolta è evidente che la selezione naturale abbia favorito una mutazione, ma non è chiaro il perché. E’ il caso del gene EDAR. La maggior parte delle persone di origini orientali e native americane possiede almeno una copia della mutazione nota come 370A e molti ne possiedono due. Ma è raro tra le persone di discendenza africana ed europea.
Il DNA è spesso paragonato a un testo, le cui lettere stanno per basi chimiche: A per adenina, C per citosina, G per guanina e T per timina. Il genoma umano consta di tre miliardi di coppie di basi, pagina dopo pagina di A, C, G e T, divise in circa 20.000 geni. La mutazione maggiormente responsabile della pelle più chiara degli europei, è una singola modifica del gene SLC24A5, che consta di circa 20.000 coppie di basi. Mentre la maggior parte degli africani subsahariani hanno una G, gli europei hanno una A. Esaminando il DNA estratto da resti di ossa umane, i paleogenetisti hanno scoperto che la sostituzione G-A-A in Europa occidentale è stata introdotta relativamente di recente, circa 8.000 anni fa, da popolazioni che migrarono dal Medio Oriente e che introdussero una nuova tecnologia: l’agricoltura. Ciò significa che le persone ormai in Europa, cacciatori-raccoglitori che realizzarono le spettacolari pitture rupestri a Lascaux, per esempio, probabilmente non erano bianchi ma avevano la pelle scura.