La Sindone è autentica? Studio mette in dubbio le conclusioni del British Museum

Sindone è autentica? I risultati della nuova ricerca sul reperto
Foto archivio ANSA

ROMA – La Sindone è autentica? O quanto meno è fasullo lo studio che la datò al Medio Evo? Una nuova ricerca mette in discussione le conclusioni raggiunte dagli esperti del British Museum nel 1988. Il sospetto è legittimo. Per gli inglesi, tutto quello che sa di Chiesa romana è da detestare. Con tutta la loro supponenza, gli inglesi hanno lasciato nella storia una lunga scia di manipolazioni e fake news.

Una scossa alla teoria inglese era stata data già, nel settembre del 2019, dal lavoro dei ricercatori dell’Università di Padova e statunitensi, pubblicato sul Journal of Cultural Heritage, che hanno dimostrato la possibilità che, anche prima dell’anno 1000, varie monete auree bizantine col volto di Cristo siano state strofinate con la Sindone, al fine di produrre reliquie per contatto.

Quindi se non altro la Sindone sarebbe retrodatata di almeno mezzo millennio. Come dire: non sarà doc ma la sentenza del British Museum è tarocca. All’origine del verdetto londinese, ci sono i risultati del 1988 di tre laboratori di prestigiose università che hanno eseguito le analisi al radiocarbonio su alcuni fili della Sindone. I dati furono raccolti e compilati dal British Museum di Londra e pubblicati in un articolo sulla prestigiosa rivista Nature in cui affermavano di offrire le prove inconfutabili che la Sindone era una truffa di stampo medievale.

Ma curiosamente, per i ricercatori i dati originali non erano disponibili. Tuttavia nel 2017, un’istanza legale ai sensi del Freedom of Information Act per la prima volta era riuscita ad ottenere le informazioni grezze. I risultati, pubblicati di recente su Archaeometry, mostrano che il problema della datazione della Sindone è tutt’altro che risolto.

Questa è la sintesi, pubblicata on line dalla rivista, dell’accurato studio condotto dal francese (corso) Tristan Casablanca e da un team di studiosi italiani (Emanuela Marinelli, Giuseppe Pernagallo e Benedetto Torrisi):
“Nel 1988, tre laboratori hanno eseguito un’analisi al radiocarbonio della Sindone di Torino. I risultati, che furono centralizzati dal British Museum e pubblicati su Nature nel 1989, fornirono “prove conclusive” sull’origine medievale del manufatto. 

E prosegue: “Tuttavia, i dati grezzi non sono mai stati diffusi dalle istituzioni. Nel 2017, in risposta a un’istanza legale legale, tutti i dati grezzi conservati dal British Museum sono stati resi accessibili. Un’analisi statistica dell’articolo Nature e dei dati grezzi indica fortemente che  l’omogeneità dei dati è assente e che il trattamento dovrebbe essere rivisto”. Un modo elegante e professorale per dare dei pasticcioni agli inglesi. La conclusione è severa.

“Le analisi statistiche mostrano la necessità di un nuovo radiocarbonio così da calcolare un nuovo lasso di tempo affidabile. Questo nuovo test richiede, in una ricerca interdisciplinare, un solido protocollo. Senza questa nuova analisi, non è possibile affermare che la datazione al radiocarbonio del 1988 offra delle prove conclusive”.

La Sacra Sindone è un tessuto di lino lungo 4,4 metri e largo 1,1 metri contenente la doppia immagine accostata per il capo del cadavere di un uomo morto in seguito ad una serie di torture culminate con la crocefissione. Risalgono al XIV secolo le prime notizie storicamente certe sulla Sindone oggi conservata nella cappella a lei dedicata nel Duomo di Torino, quando il cavaliere francese Geoffroy de Charny fa costruire una chiesa nella piccola città di Lirey – nei pressi di Troyes – per custodirvi la Sindone.

Gesù sicuramente fu tumulato avvolto in una sorta di sudario. Tre apostoli nel Nuovo Testamento citano Giuseppe d’Arimatea che avvolse il corpo di Gesù in un lenzuolo di lino e lo adagiò nella tomba della sua famiglia. Nel Vangelo di Giovanni, viene menzionato Pietro che trova parti del sudario (una per la testa e un’altra per il corpo) nella tomba vuota. In un testo apocrifo del II secolo, chiamato Vangelo secondo gli Ebrei, c’è un riferimento a Gesù (risorto) che avrebbe dato il lenzuolo a un servitore del sommo sacerdote ebreo.

In ogni caso, c’è un divario di oltre 1350 anni tra l’uso del sudario e il suo aspetto nel 14° secolo. Supponendo che sapessero della sua sopravvivenza, è alquanto strano che i primi cristiani e teologi non menzionino la Sindone. Anche se improbabile che fosse autentica, la maggior parte delle persone pensava che la datazione al radiocarbonio sarebbe stata la prova ultima che avrebbe confermato l’inautenticità della Sindone o avrebbe convinto una volta per tutte chi aveva dei dubbi.

Ci sono voluti decenni per ottenere il benestare del Vaticano e alla fine, nel 1987 sono stati selezionati i laboratori in Arizona, Oxford e Zurigo che avevano eseguire test indipendenti. Il 21 aprile 1988, fu prelevato un campione da un angolo del tessuto e distribuito ai tre gruppi di scienziati. Conclusero che c’erano “prove inconfutabili” che la Sindone risalisse al 1260-1390 d.C. con il 95% di sicurezza dei risultati.

Dal 2005, tuttavia, un numero crescente di studiosi ha messo in dubbio i risultati dei test che risalivano a 30 anni prima. Alcuni hanno affermato, ad esempio, che l’area sottoposta alle analisi era una porzione riparata del tessuto e che i fili testati appartenevano alle riparazioni. E’ noto che nel XVI secolo furono eseguiti degli interventi per restaurare la Sindone. Il fatto che il test abbia utilizzato solo campioni provenienti da un angolo del leonzuolo rende impossibile capire se si tratta di un’affermazione corretta o meno.

Stranamente, tuttavia, né le istituzioni accademiche coinvolte né il British Museum avevano risposto alle richieste di dati grezzi originali conservati nei loro archivi. È stato solo quando Tristan Casabianca ha presentato un’istanza legale che ha ricevuto una risposta favorevole. Secondo quanto ha scritto in articolo su Archaeometry, il British Museum “ha reso disponibili tutti i file, centinaia di pagine, non datati o disposti in ordine”.

Ciò che Casabianca e i coautori Emanuela Marinelli, Giuseppe Pernagallo e Benedetto Torrisi hanno scoperto è che i risultati sono stati meno conclusivi di quanto indicato dall’articolo pubblicato su Nature. Secondo Casabianca, “hanno esaminato non soltanto le misurazioni non incluse nell’articolo Nature, ma inoltre i rapporti e le lettere da e verso i laboratori che menzionano, ad esempio, materiale estraneo nei campioni”.

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