Neuroni derivati da cellule staminali embrionali umane sono stati impiantati per la prima volta nel cervello di pazienti affetti da Parkinson. Questo risultato, frutto di un lavoro lungo 16 anni coordinato dall’Università degli Studi di Milano, rappresenta un momento rivoluzionario nella medicina rigenerativa.
Il successo è il risultato degli sforzi congiunti di tre consorzi di ricerca europei finanziati dall’Unione Europea attraverso i bandi del Settimo Programma Quadro e di Horizon 2020. L’iniziativa è stata guidata dal Laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacologia delle Malattie Neurodegenerative presso il Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano e l’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare, sotto la direzione della senatrice a vita e scienziata Elena Cattaneo.
La rivoluzione della ricerca europea
La sperimentazione clinica, iniziata nel febbraio 2023 in Svezia e nel Regno Unito, ha coinvolto otto pazienti e punta a verificare la sicurezza e l’efficacia del trapianto di neuroni derivati da staminali. Questi neuroni sono stati progettati in laboratorio per sostituire quelli danneggiati dalla malattia di Parkinson, che distrugge progressivamente le cellule cerebrali responsabili della produzione di dopamina.
Durante il convegno “Stem cell revolutions for neurodegenerative diseases” tenutosi presso l’Università di Milano, Elena Cattaneo ha sottolineato come questo risultato sia stato possibile grazie alla visione dell’Unione Europea: “Non saremmo mai arrivati a questo traguardo senza uno spazio comune della ricerca che ha permesso agli studiosi di unire idee, competenze e traiettorie in modo trasparente e competitivo”. La scienziata ha anche ricordato il ruolo cruciale della cooperazione internazionale, descrivendola come il cuore pulsante dell’innovazione.
Dalla ricerca di base alla sperimentazione sull’uomo
Il percorso che ha portato a questa svolta è iniziato nel 2008 con il consorzio NeuroStemCell, seguito da NeuroStemCell-Repair nel 2013 e da NeuroStemCell-Reconstruct nel 2019. Ogni fase ha contribuito a sviluppare protocolli innovativi per “trasformare” le cellule staminali embrionali in neuroni dopaminergici, quelli specifici danneggiati dal Parkinson.
Gli studi preclinici hanno dimostrato che questi neuroni possono integrarsi nei circuiti cerebrali di modelli animali, migliorando significativamente i sintomi motori. Dopo l’approvazione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), è stata avviata la prima fase di sperimentazione clinica sull’uomo. I pazienti trapiantati saranno monitorati per almeno 12 mesi, con i primi dati sugli esiti che saranno disponibili nel 2026.
La rettrice dell’Università di Milano, Marina Brambilla, ha sottolineato come questa ricerca rappresenti un modello esemplare di collaborazione interdisciplinare e internazionale, capace di coniugare innovazione, conoscenza e valore etico. Ha inoltre ribadito il ruolo delle università pubbliche nel sostenere progetti che affrontano le sfide più urgenti della società, come le malattie neurodegenerative.
Neuroni da staminali, come funzionano?
La malattia di Parkinson è causata dalla progressiva perdita di neuroni dopaminergici, che producono dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti. Questa carenza porta a sintomi debilitanti come tremori, rigidità e difficoltà motorie.
I neuroni impiantati, derivati da cellule staminali embrionali, sono progettati per sostituire quelli persi a causa della malattia. Dopo il trapianto, i nuovi neuroni iniziano a produrre dopamina e a ristabilire parzialmente le funzioni cerebrali. L’obiettivo finale è migliorare la qualità della vita dei pazienti, riducendo la necessità di farmaci e i loro effetti collaterali.
La dimensione europea della ricerca
La collaborazione internazionale ha giocato un ruolo chiave in questo successo. Maria Leptin, presidente dello European Research Council (ERC), ha evidenziato come l’Europa sia un motore di innovazione globale, capace di unire risorse e talenti per affrontare le sfide scientifiche più complesse. Ha inoltre sottolineato che l’investimento nella ricerca di frontiera è essenziale per mantenere la competitività tecnologica dell’Europa.
Il contributo di istituzioni come l’Università di Lund in Svezia e l’Università di Cambridge nel Regno Unito è stato fondamentale. Anders Björklund, pioniere della strategia di trapianto cellulare, ha descritto come la scoperta delle cellule staminali embrionali, avvenuta 25 anni fa, sia stata il punto di partenza per una rivoluzione scientifica. Malin Parmar, leader della sperimentazione clinica Stem-PD, ha ribadito l’importanza della sinergia tra mondo accademico e industria per tradurre la scienza in trattamenti concreti.
Se la sperimentazione clinica attuale avrà successo, questa tecnologia potrebbe essere estesa ad altre malattie neurodegenerative, come l’Huntington, che da anni è al centro degli studi di Elena Cattaneo. Tuttavia, ci sono ancora ostacoli da superare.
Il primo riguarda la produzione e l’accesso alle cellule staminali embrionali. In Italia, la legge 40/2004 vieta la derivazione di queste cellule dalle blastocisti sovrannumerarie, imponendo l’importazione dall’estero. Durante il convegno, è stato ribadito come questo divieto ostacoli la ricerca nazionale, costringendo gli scienziati italiani a lavorare con risorse limitate rispetto ai loro colleghi europei.
Un’altra sfida riguarda la sostenibilità economica di queste terapie. Gli interventi basati su cellule staminali sono complessi e costosi, e sarà necessario sviluppare modelli di produzione e distribuzione che ne garantiscano l’accessibilità ai pazienti di tutto il mondo.
La terapia con cellule staminali embrionali non rappresenta solo una speranza per il Parkinson, ma anche un modello per trattare una vasta gamma di malattie degenerative. L’idea di riparare il cervello “dall’interno”, sostituendo le cellule danneggiate con nuove, offre una prospettiva rivoluzionaria per il futuro della medicina.
Roger Barker, neuroscienziato dell’Università di Cambridge, ha espresso il desiderio che questa sperimentazione sia solo l’inizio. I progressi scientifici potrebbero portare a un’era in cui malattie come l’Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e l’Huntington non siano più considerate incurabili.