Se solo l’uno per cento degli studenti che “corrono” alla Maturità viene bocciato e se chi spara alla prof o la accoltella merita, secondo i propri genitori, comunque la promozione, viene da chiedersi ancora una volta: ma che scuola abbiamo in Italia?
Sfido lo sdegno dei garantisti, dei perbenisti di oggi, dei sociologi e delle teste d’uovo, che spiegano la nostra scuola del terzo Millennio affondandola nei mali della società moderna, liquida, fluida, permissiva con la famiglia assente o sbagliata rispetto ai propri figli-studenti.
Ma come si fa a non restare di sasso davanti a quei genitori che fanno ricorso perché i professori hanno bocciato il loro pupillo che aveva accoltellato la prof? Aveva bei voti, era un ottimo studente, meritava la promozione! Anche se impugnava il coltello.
Un caso estremo, certamente, ma come tale una bella spia accesa.
E così non si può non fare un ragionamento un po’ più complessivo in questi giorni di Maturità, con il dibattito che pulsa sulle tracce delle prove scritte e eroicizza gli studenti davanti alla prova regina della scuola, l’esame di Stato, quello che deve certificare il passaggio definitivo: da alunno, studente a uomo o donna nel pieno delle sue capacità, pronto o pronta a affrontare l’Università, la vita, il lavoro.
Ma quale ansia, quale incubo, quale prova del fuoco, quale “Notte prima degli esami”, se poi li e le promuovono quasi tutti o tutte?
Le statistiche parlano chiaro e possiamo attaccarci tutti gli alibi che vogliamo, a incominciare dall’ultimo, quello dello strascico della pandemia con gli anni di scuola a distanza di una generazione abbandonata a casa, isolata e tartassata solo dall’esigenza comunque di “connettersi” alla rete e che ora sbarca nell’esame più duro.
Possiamo aggiungere che la selezione non esiste più, salvo eccezioni rarissime, dai primi gradini della scuola e che, quindi, non si può pretenderla alla fine, quando siamo in cima alla scala.
Ma se la scuola non fa selezione e poi, dopo, invece nella vita e nel lavoro questa ci sarà e sempre di più, a partire dalle diseguaglianze sempre più abissali, altro che ascensori sociali, come la mettiamo con il futuro dei ragazzi?
Da vecchio e incartapecorito ultra boomer, quale sono, posso inutilmente rievocare la maturità dei miei anni, con una prova di una durezza mostruosa, programmi di tutte le materie con i riferimenti agli anni precedenti, quattro prove scritte, due orali a distanza di quindici giorni, in tutte le materie fino ai primi di agosto, e una caterva di bocciati e rimandati a ottobre.
Alla faccia della privacy il nome dei “respinti” e dei “rimandati” compariva in grande maggioranza rispetto a quello dei “maturi” nei quadri affissi sui muri della scuola.
Una “sentenza” murale che certificava visivamente non solo la selezione ma ben altro.
Va bene, è tutto cambiato e questo è solo un eroico “amarcord” adatto alla generazione antica, ma tra quelle “stragi” e il quasi tutti promossi non ci può essere una soluzione più equilibrata?
Si sente parlare di riforma della scuola da quando il ministro era la mitica Falcucci, democristiana doc. E, invece, la scuola è sempre lì, a partire dai suoi edifici, che se io entro nel mio liceo di cinquanta anni fa, lo trovo uguale, non intatto perché i muri sono cadenti anche dove appendevano i quadri con le sentenze.
Si sono sentiti leader di qualsiasi partito e governo mettere la scuola al primo posto dei loro programmi di destra, di sinistra, di centro destra e di centro sinistra e ora di destra-destra.
Tutte facce di bronzo, partendo da Renzi, che ci si era speso più di tutti. Programmi “democratici”, come quelli incominciati con i decreti delegati, che avranno pure aperto la scuola, ma che hanno dato il via alla non selezione e, quindi, alla non modernizzazione, incominciando una evoluzione dalla quale non si esce.
Programmi liberal, come quello di Berlusconi, che aveva altre idee per la testa e non ha certo lasciato segni a scuola, nonostante abbia governato più di tutti.
La scuola è rimasta in mano a legioni di eroici maestri e prof, sotto pagati rispetto all’Europa, precari negli ultimi anni risanati rimettendo in campo generazioni già consumate nell’attesa, dentro a un fortino assediato da genitori e consulenti pronti a ricorrere sempre alle vie giudiziarie, anche quando il ragazzo usa il fucile flobert in classe, con strutture inadeguate mentre la modernità cavalcava, informatizzando, digitalizzando.
E allora commuoviamoci pure, quando rivediamo nel mitico film cult sulla scuola, “L’attimo fuggente”, una intera classe che si alza in piedi e urla: “O Capitano mio capitano”, rendendo onore al suo grande prof. Una eccezione che conferma la regola, a scuola ancora di più.