Di recente, l’attore Tom Hanks ha confessato di aver vissuto il periodo peggiore della sua vita intorno ai 35 anni. Nonostante l’evidente relativismo, figlio di diversi fattori individuali, uno studio ha rivelato qual è l’età peggiore per un essere umano. E no, non c’entrano niente i 35 anni.
Tom Hanks, durante un’intervista, ha rivelato di aver passato il periodo peggiore quando aveva circa 35 anni: “Il tuo metabolismo si ferma, la vita inizia a logorarti, le tue ossa cominciano a consumarsi e la tua postura cambia. Penso di essere più in forma adesso. Perché i miei figli sono cresciuti, faccio un po’ di esercizio fisico e riesco a mangiare bene. Non riesci a farlo quando hai 35 anni”, ha affermato l’attore.
A conferma di una certa evidente soggettività, alcuni hanno commentato queste dichiarazioni affermando di pensarla esattamente come lui, per altri invece l’età più complicata è stata un’altra. Dove sta la verità? Come detto, per ognuno potrebbe essere diverso, eppure uno studio ha stabilito una fascia d’età ben specifica, nella quale la vita si fa più “difficile”.
Steve Hoffmann, professore di biologia computazionale presso il Leibniz Institute on Aging di Jena, in Germania, sostiene che l’età più difficile per un essere umano è quella compresa tra i 45 e i 50 anni. “I dati epidemiologici ci dicono che i tassi di incidenza di molte malattie e disabilità legate all’età iniziano a manifestarsi in quegli anni. Questo potrebbe essere il momento della vita in cui molte persone iniziano a rendersi conto di alcuni dei sintomi che Tom Hanks ha descritto”, ha rivelato Hoffmann.
Il professore sostiene, però, che esiste un certo dibattito sulla questione, ovvero sullo stabilire quando esattamente inizia il processo di invecchiamento biologico. “Alcuni ricercatori sostengono che questo invecchiamento, almeno in alcune parti del nostro corpo, potrebbe perfino iniziare prima della nascita. Altri invece sostengono che si manifesta solo una volta raggiunta la maturità sessuale”, ha affermato il professore.
Uno recente studio, guidato dal professore Michael Snyder della Stanford University, ha individuato due significative ondate di cambiamento legate all’età dell’essere umano. Coinvolgendo 108 persone di età compresa tra i 25 e i 75 anni, si è scoperto che i cambiamenti collegati all’età, tra cui il rallentamento del metabolismo e una maggiore predisposizione alle malattie, mostravano picchi importanti sia a 44 che a 60 anni. Questo studio, infatti, ha dimostrato che in realtà l’invecchiamento non corrisponde sempre a un decadimento lineare delle funzioni fisiologiche, ma piuttosto può verificarsi anche in più momenti.
Hoffmann poi ha affermato che l’invecchiamento rispecchia un processo individuale che può essere influenzato da diversi fattori, come la genetica, i livelli di stress, l’alimentazione e il fumo. Su questo aspetto Claire Smith, professoressa di anatomia della Brighton & Sussex Medical School, ha affermato: “Sono molti i fattori individuali che incidono sulla percezione che uno ha della propria salute”. La professoressa sostiene infatti che la genetica, sul processo di invecchiamento biologico, giochi un ruolo fondamentale.
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