Zio Michele, il Bestione selvaggio e non il Mostro alieno

Michele Misseri, zio e assassino di Sarah Scazzi

Zio Michele non è “Il Mostro”, cioè un’assoluta e impensabile eccezione, una forma aliena che si materializza per incanto maligno nel corpo della società. Zio Michele è invece “Il Bestione”, quel che l’uomo è e torna a diventare non appena si fanno labili ed evanescenti le strutture, collettive e individuali, della civilizzazione. Zio Michele non è uno “zot”, un lampo, una folgore infame e assassina scagliata sulla terra da una divinità feroce, incontrollabile e maldettamente capricciosa. Zio Michele è nel corpo della società qualcosa che spesso si produce: una duplicazione, una replica sbagliata del Dna. Ma il suo Dna non è quelli dei “mostri”, è quello degli umani senza civiltà e cultura.

Mi viene in mente, giungo a questa certezza intuitiva leggendo le ultime righe della cronaca da Avetrana di Pierangelo Sapegno su La Stampa: “Lo zio Michele è in fondo l’ultimo figlio becero della nostra società. E’ perfettamente identico al pakistano di Novi che ha lapidato sua moglie: la donna oggetto di vizio e servitù…Dovremmo cominciare a chiederci quante di queste storie rappresentano la nostra deriva”. Mi viene in mente che Zio Michele è Bestione e non Mostro leggendo quel che scrive Vittorino Andreoli sul Corriere della Sera: “Aveva ragione Vico quando vedeva lo svilupo dell’umanità nel passaggio dagli istinti alla cultura che nella sua espressione più semplice percepiva come un insieme di regole per vivere insieme rispettandosi. Oggi ritorna il selvaggio che gli antropologi pensavano chiuso nell’archeologia e che invece si è rifatto cronaca”.

E, per i tanti che comprensibilmente non sanno chi è Vico e cosa è l’antropologia, mi viene in mente che è Bestione e non Mostro ripercorrendo chi è stato Zio Michele, quel che si diceva di lui, quel che sempre la gente dice di quelli come lui fino ad minuto prima che si sappia che insidiano, corrompono, struprano, uccidono. Di Zio Michele dicevano, anche alla tv, anche la normale, banale gente di Avetrana: “E’ un ciuccio da fatica…Si ammazza di lavoro”. Sempre una società da cui la civilizzazione è stata aspirata come da un gigantesco aspirapolvere affaccia questa che ritiene una esimente da ogni altro valore, da ogni altro parametro di comportamento: “E’ uno che lavora”. Lo ascoltiamo sempre, per quelli che ammazzano i bambini, per quelli che struprano le donne di casa. E anche per quelli che imbrogliano il prossimo o semplicemente bloccano il traffico con la loro autovettura con le quattro frecce intermittenti accese: “E’ gente che ha sempre lavorato, sta lavorando…”. Cosa c’è davvero dietro questa frase semanticamente idiota? C’è il dogma rispettato e condiviso per cui lavorare, cioè produrre soldi, è il “prius”, l’unica umana qualità rispettabile. Anche il pakistano era un gran lavoratore, e allora?

La seconda cosa che la gente sempre dice è: “Si faceva i fatti suoi”. Anche questa è spacciata e vissuta come qualità suprema. Sembra nulla, sembra ovvio, ma in realtà è un canto del coro che intona che il fottersene degli altri, del prossimo è suprema virtù. E la terza cosa che sempre viene detta è che: “Era, sono, tutto lavoro e famiglia”. La famiglia come luogo in cui il Bestione reclama e ottiene diritto d’asilo e di fatto esenzione dalle regole della collettiva civilizzazione.

Regole che non vengono più riconosciute, praticate, insegnate, richieste. Uno lavora, si fa i fatti suoi e a casa sua fa come gli pare. E’ la triade, il triangolo dentro il quale affonda la civiltà, cioè la civilizzazione dove nessun “lavoro” emenda dalla violenza e prepotenza, dove farsi i fatti propri non è salvacondotto per soddisfarre istinti e bisogni, dove la “casa”, più ricca e più bella, è quella fuori di casa, quella “casa” dove abita l’umanità. Non c’è nulla di “assurdo”, altra parola che non a caso tanto piace e tanto a sproposito viene sempre usata. Avendo stabilito per volontà popolare che la cultura è inutile impiccio, che la civilizzazione è datato sfizio snobistico, che la fatica di passare dagli istinti, pudicamente ribattezzati bisogni, alla cultura della convivenza è perdita di tempo, Zio Michele e quelli come lui sono tutt’altro che “assurdi”.

E’ pieno di “Zio Michele”. Per uno che massacra e che quindi viene alla luce ce ne sono legioni che tormentano, opprimono, impongono. Restano coperti nel sarcofago spesso omertoso della famiglia. Restano “innocui” nella stragrande maggioranza dei casi. Ma sempre Bestioni sono, Bestioni e non Mostri. La falsa coscienza collettiva ora grida, in paese, in piazza, in carcere, sul web e pure in tv: “Ammazzate, bruciate il Mostro”. Michele Misseri non merita nulla, nemmeno la pietà. L’ha uccisa lui la pietà. Ma la civilizzazione è stata la società a seppellirla dentro una buca dopo averla violentata. Lo facciamo a milioni, ogni giorno.

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