Erika, 10 anni dopo: il padre che perdona e la “vergogna” di Novi

di Franco Manzitti
Pubblicato il 17 Febbraio 2011 - 14:29 OLTRE 6 MESI FA

“Un fatto demoniaco, un’esplosione isolata inspiegabile”_ ti racconta il parroco con la voce stanca di un sacerdote che tra i primi accorse in quella casa nella notte e scoprì lo scempio e vide il corpo della sua parrocchiana Susy De Nardo trafitto con una furia mai vista e vide il corpo del suo chierichetto, GianLuca sanguinante in un’altra stanza. E vide lo sguardo vuoto, come “ a parte” di Erika. Racconta il don che lei la ragazza di quel mistero demoniaco non frequentava la chiesa, come la mamma, religiosa, intransigente, dura, come il padre, fedele, presente ogni domenica, partecipe di quella piccola comunità, come il fratellino. “Pensavo che frequentasse un altro oratorio, quello del quartiere in cui abitavano prima”, spiega don Valentino con un’ombra di dubbio.

Erika non lo convinceva, ma non sapeva. Come non lo convinceva il clima che circondava una certa gioventù di quegli anni in quella campagna “aperta” di Novi, dove c’era il “gruppo della Stazione”, ragazzi a parte, lontani mille leghe dalla chiesa della Pieve di don Valentino e dai luoghi di aggregazione cattolica. “Spirava un’aria di malessere su quella gioventù, c’erano strani giri, c’era quella strada che porta a Serravalle, di notte piena di prostitute, di trafficanti di droga, di trans” rievoca il prete, recuperando pure la storia choccante del superkiller genovese Donato Bilancia, che in una notte di qualche anno prima della tragedia di Erika aveva trucidato due trans in quel viale equivoco.

“Ma loro, Erika e Omar, il fidanzatino un po’ succube, erano degli isolati, si erano chiusi nel loro mondo privato nella loro ossessione, pronta a esplodere – come racconta il parroco –  grazie al Diavolo.” Già, ma dieci anni dopo, cosa resta nella testa di quella ragazza diventata donna, tra un riformatorio e un carcere minorile, una laurea in filosofia presa con 110 e lode studiando il pensiero di Socrate? Cosa resta di Erika, pronta a uscire in semilibertà tra due anni, tredici dopo la sciagura a tre anni dall’avere scontato tutta la sua pena di 16 anni? La pietà religiosa ha le braccia larghe di Don Valentino: “Il recupero c’è stato, Erika è diversa. Legalmente è responsabile e non so come, perchè chissà in quali condizioni era quando ha compiuto quella follia. Ma per la legge di Dio è diverso, la legge di Dio perdona.”

Perdono: la stessa parola che ha usato dal primo momento il padre della ragazza Francesco, avviato su quella strada proprio dal parroco. “L’ho seguito io nei primi anni dopo quel giorno terribile. Non ha mai mollato. E’ sempre stato legato alla sua famiglia. Andava a trovare Erika in carcere, la aiutava, le ha mandato i fiori quando si è laureata, l’ha perdonata, l’ha detto subito e ha continuato la sua vita in un dolore silenzioso, immenso del quale la forza di non lasciarsi mai andare era come una guida che non si smarrisce mai. Quello sì che è un uomo da ammirare.” Piove leggero e grigio nel silenzio della campagna dieci anni dopo e uscire da quella chiesa con la porta semi aperta, come la verità sulla tragedia di Erika, è come tuffarsi nella ferita, invece tutta aperta, della sciagura che ha macchiato Novi, dieci anni dopo quando quei giorni possono ancora essere vissuti con particolare emozione più terrena, più “politica” che nelle parole del prete. “ Ci ho messo anni per cercare di cancellare la fama che la storia di Eika e Omar aveva appiccicato alla mia città” ti dice l’onorevole Mario Lovelli del Pd, il deputato principe di questa contea, che allora, all’epoca dei fatti, era il sindaco, un sindaco letteralmente travolto dalla sciagura.