Watergate: Twitter è più efficace di Gola Profonda?

Alessandro Dattilo
Pubblicato il 25 Giugno 2012 - 07:30| Aggiornato il 25 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Carl Bernstein e Bob Woodward ai tempi del Watergate

Nell’era digitale, la Casa Bianca potrebbe reggere a uno scandalo Watergate 2.0 al massimo due settimane (non certo i due anni che furono necessari a far dimettere il presidente Richard Nixon). Lo pensano le nuove leve del giornalismo americano, gli studenti di Yale ai quali è stato chiesto di ricostruire l’inchiesta che quarant’anni fa cambiò il rapporto tra media, politica e società.

In un convegno, alla presenza dei due reporter del Washington Post (Carl Bernstein e Bob Woodward) che con le loro rivelazioni tennero testa all’arroganza della Casa Bianca per oltre 24 mesi, i giovani futuri giornalisti hanno presentato i loro saggi sulla vicenda, sostenendo appunto che con Wikileaks i segreti dei nastri registrati di Nixon avrebbero avuto vita brevissima.

Potete immaginare la reazione dei due anziani cronisti, letteralmente inorriditi. Woodward ha confessato che dopo aver letto le tesine “è stato a un passo da un aneurisma”. Secondo il veterano degli scoop, uno degli studenti avrebbe affermato una frase del tipo: “Mah, sarei andato su Google, avrei digitato le parole “fondi segreti di Nixon” e avrei trovato quello che serviva”.

È dura pensare che tanta gente creda che il web sia una lanterna magica che illumina tutto. Marco Bardazzi, giornalista de La Stampa, su questo tema ci ricorda come molti dimentichino che Internet può aiutare, “ma la verità di ciò che accade non sta di casa sul web. La verità appartiene alle persone, alle fonti umane”.

Vaglielo a spiegare ai guru del momento, che nel dibattito americano sul futuro delle news, spingono affinché si affermi l’idea che i network sono più importanti di qualsiasi “istituzione” come Washington Post o New York Times.

Si sta teorizzando infatti l’esigenza di “aver fede” nella saggezza della folla e nel lavoro condiviso di caccia alle notizie. Il giornalismo come costante conversazione – Citizen journalism – che manda in pensione quello professionale, dove le fonti erano anonime ma esistevano in carne ed ossa.

E dunque gli studenti di Yale – in pieno scontro generazionale – hanno ironizzato senza pietà, sostenendo che quella di Bernstein e Woodward è la visione di chi non capisce le potenzialità della Rete. “Oggi – dicono – saremmo in grado di svelare in un attimo anche l’identità di Gola Profonda” (ovvero Mark Felt, numero due dell’Fbi, la fonte che aiutò i cronisti a ricostruire il caso Watergate e che rimase anonima per trent’anni!).

Per mediare (e salvare le coronarie dei due storici reporter) sono intervenuti nella polemica altri esperti in materia come Ken Doctor (analista dell’industria dell’informazione e autore del libro Newsonomics: Twelve New Trends That Will Shape the News You Get) e Dean Starkman (editore di The Audit, Columbia Journalism Review’s) i quali, pur mantenendo l’entusiasmo per l’era digitale, esortano alla cautela: “Attenti, stiamo creando un modello di giornalismo che non ha né il metodo, né i mezzi economici per permettersi i livelli di qualità e verifica delle fonti che hanno portato al Watergate”. Dio salvi la stampa (stampata!).

@AleDattilo