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25 aprile, bella celebrazione, laica e non retorica, di Simonetta Fiori dei 7 fratelli Cervi

25 aprile, la più bella celebrazione è la rievocazione, laica e senza retorica, che Simonetta Fiori ha fatto su Repubblica sulla traccia di un libro sui fratelli Cervi, 7 fratelli fucilati dai repubblichini di Salò tutti assieme il 28 dicembre del 1943. Ne è uscito un bellissimo articolo, avvincente, senza sbavature, duro ma senza melodramma.

  • Il 25 aprile festeggia, oltre a San Marco, la fine della seconda guerra mondiale in Italia (ane Nord Europa è l’8 maggio) e la fine militare del fascismo, incorporato nella Repubblica di Salò, nell’Italia del Nord. È la data in cui il generale tedesco Karl Wolff ordinò il cessate il fuoco.  Mussolini fu catturato il 27 e fucilato il 28 aprile.
  • Il libro  Fratelli Cervi. La storia e la memoria svela le vite dei sette fucilati per la libertà, di Toni Rovatti, Alessandro Santagata e Giorgio Vecchio, editore Viella analizza le origini contadine e poverissime, l’antifascismo maturato dal malessere sociale. il rapporto tormentato con i comunisti reggiani.
  • Palmiro Togliatti fu abilissimo nel trasformare i sette ragazzi emiliani in martiri esemplari del comunismo italiano.

Altro che fusti lanciati verso il cielo, come li rappresentò Italo Calvino negli anni Cinquanta, nota Simonetta Fiori. Le cartelle cliniche ne riportano un’altezza che raramente supera il metro e sessantaquattro, Gelindo fermo al metro e cinquantacinque, per non parlare della piorrea che mortifica la bocca di Ovidio e picchia duro su quella di Ettore, e di tutti i malanni provocati dalle condizioni di vita miserabili.

L’articolo si svolge sul filo della analisi della evoluzione politica di questa famiglia di contadini. Chi ha memoria riscontra che è paradigmatico del passaggio di milioni di italiani, fascisti o afascisti, al disprezzo del regime. Si ricorda Ruggero Zangrandi, il suo Lungo viaggio attraverso il fascismo è il viaggio di una generazione.

La chiamata alla naja — negli anni Trenta del Novecento — li vede quasi tutti riformati, inadatti a una vita militare, tutt’al più un incarico in ufficio, ma certo non dotati di quella forza fisica che sarebbe stata celebrata nel dopoguerra.
Erano poverissimi i bambini Cervi. I vicini della Bassa Reggiana li consideravano dei zingher e dei selvategh, ossia zingari e selvaggi dai quali stare alla larga. Bisogna aspettare il
passaggio dalla mezzadria all’affitto del podere di Campirossi, a Praticello di Gattatico nel 1934, per vedere Alcide, la moglieGenoeffa e i nove figli — c’erano anche la Rina e la Diomira — conquistare faticosamente un po’ di benessere, con il bestiame moltiplicato, la produzione di burro e latte, l’acquisto del trattore Balilla e del potentissimo Landini. Tutti traguardi premiati dalle autorità locali del fascismo.
E l’opposizione al regime? Furono le limitazioni imposte da Mussolini con la legge dell’ammasso a far esplodere la resistenza della cattolica famiglia Cervi, la cui ribellione era andata crescendo lungo una traiettoria esistenziale più che politica. Senso di giustizia, insofferenza ai divieti, spirito di indipendenza.

Sembra infatti franare la storiella tramandata per tutti questi decenni del terzogenito Aldo lucido oppositore antifascista fin dal 1929, finito in prigione per il suo dissenso. Le carte raccontano di un intemperante Aldo che, giovane soldato di leva, spara contro un suo superiore non riconosciuto nella nebbia. E a scriverne la difesa più convincente sarebbe stato proprio il segretario del partito fascista di Campegine, il paese dei Cervi vicino a Reggio Emilia.

Il primo fratello ad affrontare l’arresto per il proprio orientamento antifascista non fu Aldo ma Gelindo, prima nel 1939, poi nel 1942: per aver contravvenuto agli ordini di consegna all’ammasso. Agli occhi d’una famiglia contadina, la guerra appariva come la più grave delle minacce. Ed è su questo malessere sociale che si innesta una più consapevole coscienza politica, maturata prima in Aldo dopo l’incontro con i comunisti, più tardi tradotta in azione militante grazie all’ingresso in casa Cervi di Lucia Sarzi, un’affascinante figura di “guitta sovversiva”, come viene schedata dalla polizia politica.

Dopo l’8 settembre del 1943 l’opposizione dei Cervi sarebbe andata oltre le “pastasciutte antifasciste”, i sabotaggi, la protezione offerta a disertori e clandestini. In quei pochi mesi si concentrano gli assalti alle caserme dei carabinieri, le rapine, l’aiuto alla fuga dei detenuti dal campo di Fossoli. Fino alla notte del 25 novembre quando i soldati della Guardia Nazionale Repubblicana accerchiano il podere dando fuoco al fienile. I fratelli e i loro compagni sono costretti alla resa. Il più piccolo, Ettore, ha 22 anni.
Le carte raccontano anche i tormentati rapporti con i comunisti reggiani, che non vedevano di buon occhio l’intraprendenza militare della banda Cervi, accusata di «sprovvedutezza», «scarsa disciplina », «insofferenza a qualsiasi cautela cospirativa».

 

Sergio Carli

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