Addio ad Augusto Agosta Tota, colui che per primo scoprì il pittore Antonio Ligabue. Vorrei avere la penna esultante di Gianni Brera o il soffio poetico di Alda Merini per poter degnamente cantare la vita e la morte di un grande uomo e amico come è stato Augusto Agosta Tota, scomparso venerdì 17 febbraio a 84 anni. Il maestro di San Zenone Po gli riconoscerebbe ciò che diceva di sè. Cioè: “Padano di riva e di golena, cresciuto brado (o quasi) tra boschi e sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po”. Sì, Augusto, guastallese doc, era un figlio devoto del Grande Fiume. E del Po aveva l’energia, la grandezza fisica; gli è servita per far conoscere al mondo l’arte di Ligabue “il matto”. Lo ha fatto conoscere a Mosca e Las Vegas, a Parigi e Roma, al Parlamento europeo e nei saloni russi dell’Ermitage, accanto alle opere di Caravaggio,Picasso, Van Gogh, Monet, Degas, Gauguin. Ovunque. Senza complessi. Con sicurezza, mai con spavalderia , sempre con discrezione.
Una vita da film
Giovanotto, si era improvvisato muratore in Africa per raggranellare i soldi che servivano alla numerosa famiglia. Rientrato in Italia dopo 2 anni ha scoperto, per caso, Ligabue. Mi ha raccontato che Toni era in uno sgabuzzino nel retro del box di un benzinaio. Assecondando il suo spirito generoso Augusto si è fatto carico di quel pittore analfabeta e matto che tutti insultavano e che tutti temevano per le sue mattane. E ha cominciato a diffondere le opere singolari di un pittore scomodo, diverso e anomalo rispetto agli altri artisti per lo più “ convenzionali ” nella formazione intellettuale e nello svolgimento della propria attività.
Le sponde di Zavattini e Sgarbi
Tra i tanti estimatori che Augusto Tota ha avuto in carriera come operatore culturale ed editore sono da ricordare due in particolare: il compaesano Cesare Zavattini (1902-1989) e Vittorio Sgarbi suo collaboratore da decenni nel “Centro Studi Ligabue” di Parma di cui è stato fondatore e presidente. Mi raccontava Cesare Zavattini alla fiera Millenaria di Gonzaga: “Ho attraversato la piazza di Luzzara fingendo di essere Antonio Ligabue. Disto 6 km da Guastalla dove lui si innamorò e 8 da Gualtieri dove e’ morto nel 1965. Un biografo serio dovrà vedere che tracce restano lassù di Ligabue .A giudizio di uno psicologo aveva il complesso di Edipo. In questa valle padana tra i ponti in legno di Brescello e Borgoforte è cominciato il suo esilio”. Aggiunge Sgarbi: “Il linguaggio artistico di Ligabue personale, puntuale ed originale è in sintonia con i segni dei tempi della sua generazione molto più di quanto comunemente non si creda. Ed è ora quindi di incominciare a studiare la sua opera nel contesto dell’arte italiana del periodo, non per omologarla ma per caratterizzarne i dati unici e salienti, l’alta qualità, l’originalità di invenzione. Nessuno come Ligabue è riuscito a raggiungere tanta popolarità e questo senza dubbio è un merito di Augusto Agosta Tota”.
Il genio artistico del popolo
Augusto Tota è stato il primo e unico che ha intuito e documentato, in tempi non sospetti, il genio contadino di Ligabue che il gusto romantico aveva riabilitato e idolatrato; un genio che nella sua assoluta istintività, nella sua arcaica complicità con la natura, si è inserito a pieno titolo nell’arte contemporanea proponendo un linguaggio figurativo che parla di cose semplici a persone altrettanto semplici. Ligabue è il perfetto artista popolare, il “Poeta contadino” che giustamente ha raccolto i favori di Zavattini e di coloro che trovano in lui un sicuro punto di riferimento nella cultura del dopoguerra.