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Alcuni album che gli amanti del sax dovrebbero conoscere: Sonny Rollins, Napoli Centrale, Van der Graaf Generator…

Tra gli strumenti che hanno cambiato la musica nell’ultimo secolo, il sax ha certamente un ruolo importante. Ma quali sono gli album che un sassofonista dovrebbe assolutamente conoscere? Nell’elenco che segue troverete alcuni suggerimenti, ma sarebbe impossibile stilare un elenco esaustivo di tutti i pionieri di questo strumento che hanno lasciato un segno importante nella storia della musica. Inventato intorno alla metà dell’Ottocento da Adolphe Sax, da cui prende il nome, il sassofono è uno strumento relativamente “giovane”. Anche per questa ragione la sua storia è profondamente legata all’ascesa del jazz, della musica nuova che fin dall’inizio del Novecento è stata sinonimo di sperimentazione e innovazione.

Ed è proprio nel jazz che troviamo molti dei nomi più celebri tra gli interpreti del sassofono: da Charlie Parker a John Coltrane, da Coleman Hawkins ad Archie Shepp, da Wayne Shorter a Lester Young, a Michael Brecker, solo per citarne alcuni. Nessuno di loro sarà incluso nell’elenco che segue, i tradizionalisti mi perdoneranno, perché ho scelto di indicarvi album leggermente più fuori dal seminato, dal momento che quelli li conoscono ormai anche i sassi! Il tentativo di questo articolo è quindi di scostarsi dal jazz e andare a vedere esempi in cui il sassofono si è sviluppato e integrato in altri generi e situazioni, spesso comunque sperimentali. Certo, non si poteva escludere tutto il jazz a priori, quindi qualche album rientrerà nell’elenco, ma ho cercato di fare in modo che non fossero proprio i più scontati… In questa ottica, e per ragioni di spazio, ho deciso di non includere neanche gli album di Sun Ra, che nella sua orchestra aveva una sezione fiati d’eccezione, guidata da Marshall Allen e che originariamente includeva anche Pharoah Sanders.

Il culmine dell’opera di Sun Ra, a mio avviso, è nelle opere di free jazz: la più famosa forse Space is the Place del 1973. Anche il blues, che è storicamente legato a doppio nodo al jazz, ha visto una grande presenza di sassofoni, sia solisti che in sezioni fiati di tutto rispetto. Anche qui lo spazio non permette di approfondire l’argomento, ma vorrei segnalare ai più curiosi la grande produzione di Edgar Winter, fratello del più famoso Johnny Winter. Sassofonista e tastierista, Edgar Winter ha suonato su alcuni album del fratello, ma ha anche fatto una notevole e sottostimata carriera da solista, con album che vale la pena andare a riscoprire, che spaziano dal rock al blues, anche con collaborazioni importanti. A proposito di sezioni fiati, poi, non possiamo dimenticare l’importanza che hanno avuto nel rhythm’n’blues, dai Blues Brothers ad Albert King (tanto per fare due nomi), ma anche nel funky.

Uno degli esempi meno ricordati ma più importanti è senza dubbio quello dei Parliament di George Clinton: una comunità di incredibili artisti pazzoidi che è stata fondamentale e seminale per tutto il funk a seguire, e non solo. Questa comunità comprendeva anche gli Horny Horns, una sezione fiati di cui faceva parte anche Maceo Parker e che registrò anche per altre band, tra cui i Red Hot Chili Peppers. Insomma, se tutto questo non c’è nell’elenco che segue, andiamo a scoprire quali album sono stati invece inseriti!

Stan Getz, The Master

Sperimentatore, innovatore ed esploratore della tecnica e del fraseggio melodico del sax tenore, Stan Getz fece fatica ad emergere negli anni Cinquanta e Sessanta, in un panorama in cui la fama di Lester Young ancora incombeva pesante e in cui si stavano per affermare Sonny Rollins e John Coltrane. Anche il suo lavoro pionieristico nel cosiddetto “cool jazz” venne oscurato dall’ingombrante presenza di Gerry Mulligan, considerato uno dei fondatori del genere. Probabilmente il periodo di maggiore notorietà di Stan Getz è legato al lavoro con Joao Gilberto sulla bossanova negli anni Sessanta. The Master è un album registrato nel 1975, ma che non vide la luce fino al 1982, quando venne finalmente pubblicato dalla Columbia. Quindi sì, parliamo di un jazzista, e certo non di uno sconosciuto, ma parliamo anche di un personaggio che andrebbe riscoperto e valorizzato più di quanto sia stato fatto durante la sua carriera.

Sonny Rollins, The Way I Feel

Ancora jazz, ancora sax tenore. Questa volta però parliamo di Sonny Rollins, il sassofonista che è stato definito “il più grande improvvisatore vivente”. Per la cronaca, è nato nel 1930 ed è ancora in attività: fate voi due conti che io ho le vertigini… ma mi pare evidente che il sax mantiene giovani! Autore di oltre sessanta album, senza considerare le partecipazioni e le collaborazioni, Rollins ha uno stile inconfondibile, un suono graffiante, ma anche la capacità di far “urlare” il suo strumento: tutte qualità che si trovano già nella traccia di apertura di questo album del 1976, Island Lady.

Gerry Mulligan New Sextet, Idol Gossip

L’ultimo jazzista che vi propongo in questo elenco dedicato al sax è Gerry Mulligan, personaggio innovativo e considerato molto importante sia come sassofonista che come arrangiatore nella scena jazz, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta. È probabilmente il musicista che vanta più collaborazioni in assoluto, come solista o sideman: da Count Basie a Chet Baker, da Duke Ellington a Billie Holiday, da Thelonius Monk a Miles Davis… e chi più ne ha più ne metta! Sebbene il suo strumento principale, che lo ha reso famoso, fosse il sax baritono, nell’album Idol Gossip, pubblicato nel 1976 con il suo “nuovo sestetto”, suona a volte anche il soprano. È il caso di Walk on the Water, brano che spicca insieme alla title track.

Napoli Centrale, Napoli Centrale

Il sax è stato un elemento fondamentale anche per un genere, il jazz-rock o se preferite la fusion, nato come una commistione e una novità negli anni Settanta. I Napoli Centrale, capitanati dal sassofonista napoletano James Senese, sono tra gli esponenti di spicco di quel periodo, noti a livello internazionale. L’album omonimo segna l’esordio discografico della band nel 1975. La traccia di apertura Campagna è probabilmente la più famosa, ma tutto l’album merita di essere riascoltato, o scoperto se non l’avete mai sentito.

Van der Graaf Generator, Pawn Hearts

Uscendo dall’ambito jazz, blues e fusion, scopriamo che il sax, almeno a partire dagli anni Settanta, è uno strumento fondamentale per tanti album dei generi più disparati. Per quanto riguarda il progressive, i Van der Graaf Generator costituiscono probabilmente l’esempio più importante ed evidente. Qui David Jackson suona il sax tenore, il contralto e il soprano. A volte anche due sax contemporaneamente! Il sassofono nei Van der Graaf costruisce riff memorabili, come in Killer, traccia di apertura dell’album H to He, Who Am the Only One del 1970. Oppure si avventura in assoli emozionanti, spesso con riferimenti al free jazz. Pawn Hearts è stato pubblicato nel 1971, e contiene tracce simbolo come lo strumentale Theme One e Man-Erg, dove peraltro si segnala la partecipazione di Robert Fripp alla chitarra.

Average White Band, Show Your Hand

Gli scozzesi Average White Band sono stati una band di funky e rhythm’n’blues trainati dalla sezione fiati formata da Malcom Duncan al sax tenore e Roger Ball al sax alto. Sono stati tra l’altro fra i pionieri della disco music. Nel loro album di esordio, Show Your Hand del 1973, possiamo apprezzare tutta la loro maestria nei ritmi e nei tipici fraseggi del funky, sia nella sezione fiati che nelle parti soliste. Put It Where You Want It e T.L.C. sono tracce particolarmente degne di nota.

Madness, One Step Beyond

Il sax è un elemento predominante, quasi trainante, anche nell’ambito dello ska, fin dalle sue origini. Nato negli anni Sessanta in Giamaica, lo ska ha visto tra i suoi primi protagonisti gli Skatalites, una band strumentale caratterizzata tra l’altro dal sax di Roland Alphonso, che ancora oggi è un’icona dello ska. Ma tra gli esponenti più famosi del genere, ci sono indubbiamente i Madness. Il loro album di esordio, One Step Beyond del 1979, è diventato un simbolo dello ska. La famosissima title track è in realtà una cover di un brano di Prince Buster, altro artista giamaicano a cui la band rendeva spesso e volentieri omaggio. Qui il sassofonista è Lee Thompson, che è anche co-fondatore della band.

Morphine, Cure for Pain

Pubblicato nel 1993, Cure for Pain è il secondo album dei Morphine, una band molto particolare, a partire dagli strumenti utilizzati. Si tratta infatti di una sorta di power trio senza chitarra: solo batteria, basso (ma con due sole corde) e sax (prevalentemente baritono, ma anche tenore, a volte soprano e addirittura il raro sassofono basso!). Dana Colley è il sassofonista della band, e in questo album utilizza sia il baritono che il tenore. Difficile indicare quali tracce spiccano, perché sono tutte meravigliosamente bizzarre, ma azzarderei che Buena, All Wrong e A Head With Wings possano essere quelle più caratterizzanti.

Gong, Flying Teapot

Anche nella copiosa discografia dei Gong il sax occupa un posto di assoluto rilievo, spesso accompagnato dal duduk, uno strumento a fiato tradizionale armeno, a comporre una particolarissima sezione fiati. Qui il sound del free jazz incontra le ritmiche funky, le strutture del progressive e gli spazi sterminati dello space rock e della psichedelia. Tra tutti gli album dei Gong, ho scelto qui di proporvi Flying Teapot, la loro terza produzione, del 1973, perché il sax è sempre presente in tutti i brani. Qui al sassofono e al flauto troviamo Didier Malherbe, che più tardi si specializzerà come suonatore di duduk e verrà affiancato nei Gong da sassofonisti di tutto rispetto, come Theo Travis, che ha suonato il suo sax anche per Porcupine Tree e Soft Machine Legacy, tra gli altri.

Cardiacs, A Little Man and a House and the Whole World Window

Per concludere, ci tengo a segnalare a tutti i sassofonisti là fuori e agli amanti del sax che questa è forse la band più folle e geniale in cui questo strumento ha trovato un ruolo importante. Siete pronti ad ascoltare la follia dei Cardiacs? A Little Man and a House and the Whole World Window è il loro album di esordio, del 1988. Qui il sax di Sarah Smith si mescola magistralmente alle atmosfere a tratti epiche e spesso schizofreniche create dagli incastri melodici, armonici e ritmici. Due brani spiccano su tutti, A Little Man and a House e Is This The Life?, ma l’intero album merita di essere riascoltato. Se poi non conoscete già i Cardiacs, cosa aspettate a scoprire tutta la loro discografia?

 

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Roberto Cruciani

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