I vaccini potrebbero essere una risorsa nella prevenzione dell’Alzheimer, secondo una nuova ricerca epidemiologica della McGovern Medical School di Houston. Questo studio, recentemente pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, ha esaminato la relazione tra alcune vaccinazioni di routine per adulti e la riduzione del rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer. Con l’aumento dell’età media della popolazione, la ricerca sulla prevenzione delle malattie neurodegenerative diventa sempre più centrale, e questi risultati, in particolare, rappresentano un possibile punto di svolta per la prevenzione della malattia.
L’indagine è stata condotta su un ampio gruppo di individui, di età compresa tra i 65 e gli 85 anni, senza segni di demenza all’inizio del periodo di osservazione, che sono stati seguiti per otto anni. In questo gruppo, coloro che avevano ricevuto alcune vaccinazioni – tra cui quella per l’influenza, il tetano, la difterite, la pertosse e lo pneumococco – mostravano una probabilità significativamente inferiore di ricevere una diagnosi di Alzheimer. I dati rivelano che i soggetti vaccinati contro l’influenza, ad esempio, presentavano un rischio di Alzheimer inferiore del 40% rispetto ai non vaccinati. Anche altre vaccinazioni hanno mostrato effetti protettivi: il vaccino contro il tetano, difterite e pertosse ha ridotto il rischio del 30%, mentre quello contro l’herpes zoster e lo pneumococco ha mostrato una riduzione rispettivamente del 27% e del 25%.
Questi risultati non sono un’eccezione: anche precedenti ricerche del team guidato dal professor Paul E. Schulz, consulente dello studio e neurologo alla McGovern Medical School, avevano già ipotizzato che il vaccino antinfluenzale potesse offrire una protezione contro l’Alzheimer. L’ipotesi originaria è che la stimolazione del sistema immunitario, attivata dai vaccini, possa “allenare” l’organismo a riconoscere e a eliminare le proteine tossiche nel cervello, come le placche di beta-amiloide, la cui accumulazione è una delle principali caratteristiche della malattia di Alzheimer.
Secondo i ricercatori, l’efficacia dei vaccini nel ridurre i rischi di Alzheimer potrebbe essere spiegata da un potenziamento della risposta immunitaria generale. Avram Bukhbinder, uno degli autori dello studio, ha sottolineato che i vaccini non agirebbero direttamente sul cervello ma renderebbero il sistema immunitario più efficace nell’identificare e rimuovere accumuli tossici nel cervello, come le placche amiloidi e i grovigli neurofibrillari, considerati responsabili del deterioramento cognitivo nei pazienti con Alzheimer.
I ricercatori ritengono che l’effetto positivo dei vaccini nel contesto dell’Alzheimer potrebbe essere il risultato di una combinazione di fattori. Innanzitutto, i vaccini stimolano il sistema immunitario, e questa “attivazione” potrebbe rimanere attiva nel tempo, migliorando la capacità delle cellule immunitarie di rimuovere proteine tossiche o di rispondere più efficacemente a infiammazioni o danni cerebrali. Questo miglioramento immunitario potrebbe quindi limitare il danno collaterale associato all’infiammazione cronica, riducendo l’impatto sulle cellule sane vicine, e rallentare così il processo neurodegenerativo.
Schulz ha inoltre spiegato che i farmaci attualmente disponibili per l’Alzheimer, purtroppo, offrono unicamente un rallentamento della progressione della malattia e non una reale prevenzione. Da qui l’importanza delle scoperte legate ai vaccini come potenziale strumento preventivo. Le prospettive legate alla vaccinazione preventiva, specialmente per adulti e anziani, potrebbero quindi cambiare l’approccio a lungo termine alla malattia.
Uno degli aspetti più interessanti dello studio è che l’effetto protettivo non si limita a un singolo tipo di vaccino ma si estende a diverse vaccinazioni comunemente somministrate in età adulta. Questa osservazione ha alimentato ulteriori ipotesi tra i ricercatori, che suggeriscono che il legame tra vaccinazioni e riduzione dei rischi di Alzheimer sia di natura sistemica piuttosto che specifica. In altre parole, il sistema immunitario potrebbe essere “allenato” a rispondere meglio non solo contro specifici agenti patogeni, ma anche contro segnali di danno o infiammazione nel cervello. La capacità del sistema immunitario di intervenire sul metabolismo delle proteine tossiche nel cervello e di ripulire il sistema nervoso centrale dalle placche potrebbe quindi essere migliorata anche con vaccini non specifici per malattie neurodegenerative.
Gli studi epidemiologici come questo offrono una solida base per approfondire il legame tra sistema immunitario e malattie neurodegenerative, ma sono necessari ulteriori studi clinici per comprendere appieno il meccanismo alla base di questo fenomeno e per valutare l’impatto a lungo termine dei vaccini sulla salute cognitiva. In ogni caso, i risultati suggeriscono che mantenere una regolare vaccinazione, oltre a fornire protezione contro infezioni specifiche, potrebbe avere effetti benefici di ampio spettro anche sulla prevenzione di condizioni croniche come l’Alzheimer.