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Artisti e politica: nessuna canzone per Moro, meglio l’aborto

Artisti e politica. Nichelino è un Comune piemontese diventato “Città” grazie a un decreto di Carlo Azeglio Ciampi del 2020. In questi giorni il paese è assurto a centro di uno scontro emblematico tra il sindaco in veste di Padreterno e il cantante Povia, all’insegna del “politicamente corretto” rispetto a problemi come l’aborto e la pederastia.

Dico subito che un cantante di professione non è adatto a intervenire in queste materie: mi pare evidente che Povia, come molti rapper, si sia montato la testa e creda di essere un“opinion man”.

Chi vende “musica” ha il dovere di esprimersi secondo i canoni dell’artista, non con l’arido linguaggio di un “tecnico”, perchè in tal modo egli abusa del suo rapporto privilegiato con gruppi condizionabili.

Casi di artisti impegnati in politica

Artisti e politica: nessuna canzone per Moro, meglio l’aborto – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Faccio un esempio. Chi componesse una canzone con il seguente refrain: “il feto non ha diritto di decidere se debba essere gettato nella spazzatura o procreare nuova vita” sarebbe un artista che solleverebbe il punto essenziale della questione e che nessuno potrebbe censurare.

Oscar Wilde fu condannato ai lavori forzati a causa della sua omosessualità, per l’opinione pubblica dei benpensanti. Egli fu il più grande letterato di quel secolo: tutti noi possiamo leggere i Suoi capolavori, mentre nessuno ricorda i giudici che l’avevano condannato.

Se ascolto una canzone di Lucio Dalla, mi vengono i brividi e sento che la Sua voce non morirà mai.

E’ certo che gli amori lesbici esaltati dai grandi poeti dell’antichità, sono stati cancellati da due millenni di oscurità religiosa, come affermava Pier Paolo Pasolini, che non era solo un artista ma un genio assoluto.

Da Visconti a Vannacci

“Il Gattopardo” di Luchino Visconti è rimasto il simbolo della filmografia italiana di ogni tempo.

Quando Vannacci scrive nel suo libro che Egli non attacca gli omosessuali ma si limita a prendere atto della loro “diversità” è consapevole di non passare alla storia come esempio di letteratura “moderna e innovativa”. Egli interpreta piuttosto il pensiero di persone senza qualità che sono sempre le più numerose, a scopi elettorali.

Nella società civile, peraltro, milioni di individui ritengono che qualcuno deve pur fare figli, altrimenti un popolo si estingue: in democrazia è opportuno che anche costoro abbiano voce.

La pretesa di imporre il “politicamente corretto” come fa il sindaco di Nichelino, si può avere verso il suddito ma non verso l’artista. I più grandi letterati e musicisti hanno sempre avuto bisogno di mecenati. Con l’Eneide, Virgilio ha voluto legittimare l’autorità di Augusto.

Beethoven dedicava l’Eroica a Napoleone. Così Foscolo e i principali poeti di fine Settecento. Ma nessuno di loro ha mai venduto un’unghia della propria arte ad un qualsiasi mecenate.

Se poi, con l’avvento dei partiti e della lottizzazione, il sistema è tale che occorre far parte di una squadra per poter calcare le scene, l’artista deve spesso fingere di appartenere,per poi recuperare la propria libertà una volta cessato il condizionamento.

Era anzitutto la Vanoni che gratificava il partito socialista, allo stesso modo Guccini, Venditti, Benigni e numerosi altri artisti gratificavano il PCI.

Ben diversa e più meschina inpolitica è la posizione dei guitti, saltimbanchi e ballerine che tuttora elemosinano alla corte del principe una qualsiasi occasione di lavoro.

Questi personaggi minori abbracciano i gruppi dominanti e perdono nello stesso momento la loro caratteristica di “artista”. Faccio l’esempio della Littizzetto, una comica che ha dovuto per un certo periodo la sua fama all’attacco frontale e boccaccesco contro Berlusconi.

In quel modo, per sua propria scelta, essa ha perduto la caratteristica di artista e si è posta al servizio di un gruppo politico.

Il comico Beppe Grillo non esprime un’idea artistica universale ma propone nuovi modelli “politici” pur ignorando i fondamenti universali di un buon governo. Egli arriva a pretendere un compenso da 300 mila euro all’anno per un “copyright simbol”, espressione di un robot piuttosto che di creatività.

Il 9 ottobre del 1997 il drammaturgo e attore Dario Fo ricevette il Premio Nobel per la letteratura, assegnatogli con la seguente motivazione: “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.

I grandi censori popolari erano i personaggi come Pasquino, che rischiavano la vita per i loro attacchi al potere temporale dei Papi, con vere e proprie “poesie” attaccate ai monumenti romani, del tipo: “Governo, Ti ringrazio che per defecare non hai messo il dazio e per pulir il sedere della defecata non hai messo la carta bollata” (il testo è stato emendato a tutela dei più giovani).

L’”oppressore” di Fo era principalmente il “Fanfani rapito”, un “capo-corrente” il cui potere era durato pochi anni in ragione del gioco delle correnti democristiane.

Fra il 1969 ed il 1982 l’Italia visse il periodo degli anni di piombo: si contarono 351 morti per atti di violenza politica. Aldo Moro è stato ucciso nel 1978 per mano delle Brigate Rosse.

Mi sono sempre meravigliato del fatto che i grandi “cantori”che si opponevano alle censure mediatiche di qualche politico, non abbiano mai scritto una poesia, una canzone, un romanzo, uno stornello, per commemorare Moro e i martiri degli anni di piombo. Al contrario, gli intellettuali e gli artisti di quel periodo dichiaravano di non stare “né con lo Stato né con le brigate rosse”.

Essi pensavano (e lo dichiaravano con enfasi) che i brigatisti, come loro, si opponevano al potere costituito: erano fratelli che avevano sbagliato nei modi.

La canzone accomunante della sinistra è stata “Bella Ciao”.

Le donne afgane stanno pubblicando sui social dei brevi video in cui intonano ad alta voce delle canzoni. Una donna canta vestita di nero con un lungo velo che le copre il viso: “Mi hai messo a tacere per gli anni a venire”, dice. “Mi hai imprigionata in casa mia per il solo crimine di essere donna”.

Esse non possono più cantare in pubblico e anche a casa devono evitare che la loro voce venga udita dai vicini. Le donne iraniane sono perseguitate dalla “polizia morale”.

Perché Fedez, Povia e centinaia di loro emuli, non sentono l’intimo desiderio di scrivere una canzone per queste martiri, invece di occuparsi di sesso o di politica? Perché i nostri artisti di “strada” che suonano e scrivono, ignorano le afgane, le iraniane, le pakistane, le indiane, rese schiave nei loro territori, e non sentono il bisogno di dedicare loro almeno una poesia o uno stornello da divulgare nel mondo?

Giorgio Oldoini

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