Berlusconi, le escort. Leggi sulla prostituzione cambiate da Patrizia D’Addario

La caccia alle prostitute e ai loro clienti è stata uno dei temi caldi dell’Italia 2008 e ha determinato un fiorire di disegni di legge in Parlamento e anche una intensa attività di ordine pubblico nelle strade delle nostre città. Mentre vigili urbani e forze dell’ordine varie rincorrevano nei viali di Roma, Milano, Torino e di quasi tutte le città italiane piccole e grandi ragazze seminude (e ragazzi travestitti e altrettanto seminudi) ladri e rapinatori agivano indisturbati. Chi di noi non ha sentito almeno una storia di un amico deribato in casa mentre dormiva, non ha letto di un cittadino assalito fra le mura domestiche da una banda che lo ha legato, imbavagliato e seviziato per farsi aprire la cassaforte.

Nell’estate 2009 qualcosa è cambiato. Il primo ministro del Governo che vuole dare la caccia alle puttane ovunque si annidi il vizio, è stato messo in croce da un tormentone che lo vuole frequentatore di escort. Il fatto che Silvio Berlusconi possa vantarsi di non avere mai pagato una donna non modifica la natura professionale delle sue occasionali compagne, che hanno riempito di interviste le pagine dei giornali più seri e impegnati. La gaffe del legale di Berlusconi, Niccolò Ghedini, che ha limitato il ruolo del suo cliente a quello di “utilizzatore finale”, ha aggravato le cose, perchè gli ha cucito addosso quel ruolo che il suo Governo vorrebbe punire con pubbliche, ancorché immateriali, fustigazioni.

Sarà interessante vedere come si muoveranno Governo e parlamento nell’autunno del 2009 in una materia che comunque va affrontata, perché regolata da una legge vecchia di mezzo secolo, che aveva alla base una forte spinta morale, perché era abbastanza singolare che lo Stato italiano fosse anche tenutario di bordelli, ma che alla luce dell’esperienza si è rivelata anche una legge ipocrita e dannosa, per la vita di molte prostitute e per la salute pubblica.

In Italia il mercato del sesso gonfia, rigorosamente in nero, esentasse,  le tasche e le borse di prostitute e magnaccia, per un giro che frutta 90 milioni di euro al mese, a quanto dice il ministro delle pari opportunità Mara Carfagna.Sui marciapiedi di tutta la penisola si realizza il sogno di migliaia di clienti, croce e delizia di un sistema che introduce una precisa distinzione tra prostitute da strada e da salotto e che ora vuole garantire alle lucciole degno trattamento e mira a colpire chi consuma in luogo pubblico o aperto al pubblico.

In tempi in cui le escort fanno milioni di clic e di euro al mese, per il ministro Carfagna le prostitute da strada sono «l’anello debole della catena». A cinquant’anni dalla legge Merlin (1958), che ha messo al bando le case chiuse, fino ad allora monopolio di Stato, il governo punta ad abbattere il fenomeno che in questi anni è dilagato su strada: i marciapiedi vanno ripuliti, per migliaia di clienti sarà battaglia su tutti i fronti, dato che nel disegno di legge del ministro viene introdotto il reato di esercizio della prostituzione nei luoghi pubblici. Ad essere colpiti, con identiche sanzioni, saranno sia le lucciole che i clienti. Previsto l’arresto da 5 a 15 giorni e l’ammenda da 200 fino a 3000 euro. Con l’attuale normativa, infatti, è punibile solo il reato di “adescamento”, oggettivamente di difficile definizione.

La pulizia dei marciapiedi italiani, non dai rifiuti ma da prostitute e viados, sembra essere uno dei temi entrali della politica italiana, come se il paese non fosse tormentato da ben altri problemi. L’argomento non ha appassionato solo il ministro Carfagna, ma anche altri parlamentari di entrambi gli schieramenti.

Il disegno di legge presentato dai senatori radicali Donatella Poretti e Marco Perduca “autorizza la prestazione di servizi sessuali remunerativi in forma autonoma, dipendente o associata”, ma prevede “l’adozione di un regolamento recante la disciplina relativa ai controlli igienico sanitari”. Quello proposto dal senatore Franco Paolo, della Lega, invece vieta l’esercizio della prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico, ma lo consente nelle abitazioni private, previa comunicazione al questore: “In edifici ove non sono presenti abitazioni con destinazione d’uso diversa, siti in comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti”. A quel che si legge, sembra presagire interi palazzi con destinazione d’usop bordello.

Il ddl presentato dalla radicale Silvia Della Monica e altri punta alla promozione di interventi comunali per l’integrazione delle “vittime della prostituzione minorile, coattiva, dell’induzione, reclutamento e sfruttamento della prostituzione”.

Il senatore di Forza Italia (ora Pdl) Enrico Musso, noto per avere passato una notte di dicembre 2008 in giro per Genova su una gazzella dei carabinieri per , oltre a ribadire il divieto della prostituzione in pubblico, stabilisce che “la pubblicità dell’attività di prostituzione è consentita esclusivamente attraverso la stampa e i sistemi informatici”. Nel ddl che disciplina i reati connessi al fenomeno squillo presentato dai senatori del Pd Franco, Finocchiaro, Barbolini, Vitali, Perduca e altri sancisce il divieto di prostituzione in luoghi pubblici, punito anche relativamente al cliente, stabilisce che enti pubblici o privati possano stabilire le modalità e i criteri per l’esercizio nell’ambito del proprio territorio, individuando i luoghi considerati più idonei. Inoltre presenta alcune modifiche al codice penale riguardo la prostituzione minorile e quella coattiva diversificando gli anni di reclusione rispettivamente da sei a dodici nel primo caso e da cinque a dieci nel secondo, con multe da 15.000 a 150.000 euro nel caso di minorenni.

Se il 75% della prostituzione si pratica in strada, per eliminarla, come sembra che il governo voglia fare, basterebbe riaprire le case chiuse, ma per il ministro Carfagna non si discute: «Appare difficile che la prostituzione possa spostarsi dai marciapiede all’interno dei condomini, dove il controllo reciproco è più forte: il racket, non potendo correre il rischio di vedere vanificati i suoi ‘investimenti’ da qualche denuncia, si sposta dunque verso quei Paesi dove non ci sono norme severe come quelle che stiamo approvando. Mi auguro che anche altri governi possano produrre leggi altrettanto rigide». Ma la crociata delle Pari Opportunità per le donne che vedono calpestata la propria dignità -essendo iniziata nel settembre 2008 come disegno di legge approvato in Consiglio dei Ministri- è ancora lunga e ha già concluso la sua prima sessione di prove generali per mano dei sindaci-sceriffo.

Dopo le prime ordinanze anti-prostituzione in 46 comuni d’Italia, per le donne che allietano la vita di migliaia di uomini, ma che erano abituate a battere i marciapiedi per farlo, è iniziato l’esodo verso altre destinazioni e la caccia alle streghe che minano alla pubblica decenza.

Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, nella sua ordinanza anti-lucciole scrive: «L’esercizio della prostituzione, che si manifesta spesso con atteggiamenti indecorosi e indecenti, offende la pubblica sensibilità e genera episodi di tensione nella cittadinanza; produce gravi situazioni di turbativa alla sicurezza stradale a causa dei comportamenti gravemente imprudenti di coloro che sono alla ricerca di prestazioni sessuali; produce situazioni igienico-sanitarie pericolose per la collettività, stante i rifiuti e i residui organici che vengono reperiti nei luoghi abitualmente frequentati dalle persone dedite alla prostituzione».

Degrado, disturbo della quiete pubblica e decoro sono fra le motivazioni che hanno indotto anche i sindaci di Milano e Pisa alle stesse misure. Per l’amministrazione veronese il fenomeno ha «effetti devastanti per la sicurezza urbana, conclamanti da episodi criminali legati allo sfruttamento e conseguenze sulla circolazione stradale, comportamenti imprudenti e imprevedibili di coloro che, alla guida di veicoli, sono alla ricerca di prestazioni sessuali».

Dopo quasi un anno dall’ok dato dal Consiglio dei ministri al ddl antilucciole, nato come fiore all’occhiello del ministro Carfagna, battaglia impossibile da rimandare e onerosa incombenza del governo, adesso il provvedimento deve passare all’esame del Parlamento, sì, ma non si sa quando. L’affaire Berlusconi- D’Addario è valso un cambio di etichetta per la questione prostituzione, che è passata in un baleno da “urgente” a “rinviata”. Sarebbe troppo difficile riprendere in mano la questione squillo, anche per senatori più che navigati.

E i 9 milioni di clienti italiani che richiedono sesso a pagamento potranno tirare un sospiro di sollievo, nonostante le ordinanze comunali. Ancora per un po’ potranno soddisfare all’aria aperta il bisogno di sesso a basso costo, annegando in un attimo di foga sul sedile posteriore di un’auto la delusione di un matrimonio incui sono naufragate le tante promesse di pizzi e acrobazie a letto. La logica del cliente, quella del “paghi, compri, usi e poi butti senza alcuna implicazione sentimentale” non ha classe sociale, né partito politico: i clienti sono tutti uguali, a fare la differenza è il portafoglio.

E criminalizzare chi va con le donne da marciapiede potrebbe essere una mossa antidemocratica. Oltre che una inutile dispersione di forze dell’ordine. Impegnati a dar la caccia alle puttane e ai loro clienti, che fanno un po’ di rumore ma non fanno male fisico al resto dei cittadini, polizia, carabinieri e vigili urbani vengono necessariamente distratti dal compito di proteggere i cittadini dalla violenza diretta contro la massa della gente, in un’Italia dove ormai uno non si sente sicuro nemmeno in casa.

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