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Cantautori italiani in dieci dischi, alcuni album da ascoltare: De André, Guccini, Graziani…

Gli album dei cantautori italiani ricoprono certamente un ruolo importante nel panorama musicale nazionale. Spesso si crea una certa confusione su cosa indichi il termine “cantautore”, quindi dichiariamo subito i due semplici criteri di base sui quali si fonda questa selezione: un cantautore è indubbiamente un musicista che scrive e interpreta i propri brani (testo e musica); la produzione musicale di un cantautore si inserisce in genere nella tradizione folk della musica popolare, nel nostro caso italiana. Partendo da questi presupposti, accanto a una selezione di dischi di riferimento da scoprire o riscoprire, abbiamo voluto proporre due produzioni più recenti che per certi versi esulano dalla categoria cantautore in senso stretto, ma che riteniamo valga la pena scoprire nell’ottica della direzione che il cantautorato sta prendendo oggi.

1. Fabrizio De André, Volume III (1968)

De André è spesso giustamente ricordato come il capostipite dei cantautori italiani moderni. È difficile scegliere un disco piuttosto che un altro nella sua variegata produzione, tenendo presente la collaborazione in album successivi con la PFM o l’indubbio valore di album più complessi musicalmente, come Creuza de ma’. In Volume III, però, troviamo molte delle canzoni che lo resero famoso, con il caratteristico stile scarno ed essenziale, che è un po’ un marchio di fabbrica del cantautore: La canzone di Marinella, Il gorilla, La canzone di Piero. Nonostante il costante riferimento alla cultura francese, e in particolare a Brassens, questo disco si inserisce perfettamente nella tradizione delle ballate e della musica popolare italiana. Nella ristampa in vinile del 1970 la canzone Il gorilla venne sostituita da Il pescatore, per poi tornare nel vinile stampato nel 1971.

 

2. Edoardo Bennato, Burattino senza fili (1977)

Quinto album del cantautore napoletano, che vede anche la partecipazione di musicisti importanti, come Roberto Ciotti e Tony Esposito. La scelta audace e originale di costruire il disco come un “concept album” ispirato alla storia di Le avventure di Pinocchio di Collodi rilegge la favola, attraverso brani indimenticabili, come una metafora. Di cosa? Lasciamo al lettore la libertà di scoprirlo da sé. La copertina del vinile originale includeva anche illustrazioni tratte dall’edizione del 1911 del testo di Collodi.

 

3. Ivan Graziani, Ivan Graziani (1983)

Ivan Graziani è spesso il cantautore più dimenticato e sottovalutato nel panorama italiano, pur essendo stato capace di creare canzoni tra le più originali e moderne di tutta la produzione nazionale. Abbiamo scelto questo album soprattutto per la seconda traccia, Il chitarrista, che merita una menzione speciale e che speriamo nel nostro piccolo di far conoscere a un più grande pubblico. Una menzione particolare però merita anche il sesto album del cantautore, Pigro (1978), soprattutto per le tracce Monna Lisa e Pigro.

 

4. Pino Daniele, Nero a metà (1980)

Un album che si discosta dallo stile più “blues” dei due dischi precedenti, e forse proprio per questo il primo in cui Pino Daniele si propone come un vero e proprio cantautore. La settima traccia A me me piace ’o blues è sicuramente degna di nota. Nel 2014 è stata pubblicata la “Special Extended Edition”, con un paio di inediti e alcune versioni alternative delle tracce dell’album. Nel 2020, poi, è uscita una versione in doppio cd, contenente anche brani registrati dal vivo. Per chi volesse comunque approfondire l’anima più blues del cantautore, segnaliamo l’album Pino Daniele del 1979, in cui è contenuta la celebre Je so’ pazzo.

 

5. Claudio Lolli, Aspettando Godot (1972)

È l’album di esordio del cantautore, prodotto grazie a Francesco Guccini, che lo presentò alla EMI. Contiene tracce memorabili della produzione di Claudio Lolli, come la title track Aspettando Godot e Borghesia, e la partecipazione di nomi importanti come Ares Tavolazzi al basso e Ellade Bandini alla batteria.

 

6. Flavio Giurato, Il tuffatore (1982)

Flavio Giurato è un cantautore “di nicchia”, che però ha un’importanza non secondaria nella scena musicale italiana e che è stato fonte di ispirazione per molti, sia musicisti che scrittori. Questo album, in particolare, è considerato un disco di culto. Costruito come un “concept album”, con una storia che si dipana attraverso i quadri delle varie canzoni, raggiunge il suo apice nella traccia che dà il titolo al disco, Il tuffatore: un brano essenziale, che dura poco meno di due minuti, lasciando l’idea di una grandiosa coda finale all’immaginazione dell’ascoltatore, come in un “non finito” michelangiolesco. Da notare che il sax e i fiati nel disco sono suonati da Mel Collins, già membro tra gli altri di King Crimson, Camel e Alan Parsons Project.

 

7. Giorgio Gaber, La mia generazione ha perso (2001)

Dodici tracce in cui, tra monologhi e canzoni, Gaber alterna brani nuovi ad altri precedenti, addirittura degli anni Settanta. Come è tipico dello stile del cantautore, l’intero album si presenta come fosse uno spettacolo, anche se in questo caso si tratta di un album da studio, toccando problemi attuali della società e della politica, con un forte senso nostalgico. Particolare menzione meritano le tracce La razza in estinzione, Destra-Sinistra, L’obeso e il monologo conclusivo Qualcuno era comunista.

 

8. Francesco Guccini, Folk beat n. 1 (1967)

È l’album di esordio del cantautore emiliano, che contiene alcuni brani inediti, accanto a tre reinterpretazioni di canzoni che aveva scritto per l’Equipe 84 (Auschwitz e L’antisociale) e per i Nomadi (Noi non ci saremo). Da segnalare, nella produzione di Guccini, anche l’album Radici (1972), in cui l’anima folk del cantautore si amalgama con influenze vagamente progressive, in particolare nella celebre La locomotiva.

 

Gran parte di queste produzioni hanno ormai una certa età. Per questo motivo vogliamo anche proporre alcuni album più recenti e troppo poco noti, che rientrano a nostro avviso nella categoria cantautorale, pur presentando tratti che esulano dal ritratto preciso del cantautore.

9. Cristina Donà, Nido (1999)

Secondo album della cantautrice, Nido si caratterizza per la ricercatezza sperimentale e l’attenzione particolare alle melodie. Da segnalare in particolare le tracce L’ultima giornata di sole e Goccia, con la partecipazione eccezionale di Robert Wyatt a impreziosire il brano.

 

10. Gang, Le radici e le ali (1991)

È corretto parlare di cantautorato anche nel caso di una band? Non sapremmo dare una risposta definitiva, ma questo disco ha certamente tutte le carte in regola per rientrare nei criteri scelti per questo articolo. Si tratta dell’album della svolta per i Gang, che si votano in maniera decisa ed esplicita al racconto di storie della tradizione italiana e ai riferimenti alla musica popolare. Molti sono i brani di questo disco che sono rimasti memorabili negli anni di storia della band, ma primo fra tutti forse è Bandito senza tempo.

Alessandro Avico

Classe 1984, direttore responsabile di Blitz quotidiano dal 2022, lavoro per questa testata sin dalla sua fondazione. Prima come collaboratore, poi come redattore, caposervizio e vice direttore. Mi occupo principalmente di politica e di cronaca cercando sempre di fornire al lettore uno spunto diverso sulle notizie più importanti e curiose.

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