Appropriazione indebita di informazioni personali di milioni di utenti e violazione del copyright, danni per tre miliardi di dollari. Sono le accuse mosse nei confronti di OpenAI, la società che ha sviluppato il popolare software di Intelligenza artificiale ChatGpt.
Accuse che hanno condotto a una class action partita dalla California che potrebbe cambiare lo sviluppo di questi software in cui è coinvolta tutta la Silicon Valley. L’IA presenta dei rischi reali.
“Non è allarmismo o fantascienza”, ha ribadito in queste ore Geoffrey Hinton, uno dei pionieri dell’Intelligenza artificiale. La causa è stata depositata il 28 giugno presso il tribunale federale di San Francisco. Include sedici querelanti-. Tra cui due scrittori del Massachusetts, Paul Tremblay e Mona Awad.
Afferma che OpenAI ha preso da Internet – il termine tecnico è ‘scraping‘ – “300 miliardi di parole” senza registrarsi come broker di dati o ottenere il consenso. Parole che avrebbe utilizzato per creare e allenare un prodotto di valore come ChatGpt senza compenso.
Oltre ai danni monetari, i querelanti hanno chiesto di intraprendere una serie di azioni correttive contro OpenAI tra cui l’istituzione di un consiglio indipendente per la governance e l’accesso aperto a tutte le informazioni personali raccolte dalla società.
Nell’azione legale è citata anche Microsoft, principale cliente e partner aziendale di OpenAI. “Nonostante vi siano protocolli consolidati per l’acquisto e l’uso di informazioni personali in rete, qui è stato adottato un approccio diverso: il furto“, si afferma.
La base legale della causa è il Computer Fraud and Abuse Act, una legge federale che si occupa di pirateria informatica. Ma a OpenAI si contesta anche la violazione della privacy e dell’Electronic Communications Privacy Act.
A novembre è stata intentata un’altra causa dai programmatori di Github per violazione delle loro licenze open source. Questa nuova azione legale arriva dopo che OpenAI è finita ripetutamente sotto i riflettori negli ultimi mesi, man mano che cresceva la sua popolarità, per i metodi di allenamento degli algoritmi e per il database. I ricercatori americani sono riusciti a rintracciare almeno 50 libri introiettati dal chatbot, tra cui Harry Potter.
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