Le malattie cardiovascolari (CVD) rappresentano una delle principali cause di mortalità a livello globale, con un impatto particolarmente grave su persone che soffrono di patologie croniche come il diabete di tipo 2 e la malattia renale cronica. Uno studio recente, presentato alle sessioni scientifiche 2024 dell’American Heart Association, ha rivelato un dato allarmante: gli individui con una o entrambe queste condizioni possono sviluppare malattie cardiovascolari da 8 a 28 anni prima rispetto a chi non soffre di tali patologie.
Malattie cardiovascolari e sindrome CKM
La connessione tra malattia renale cronica, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari si colloca all’interno di quella che viene definita sindrome cardiovascolare-renale-metabolica (CKM). Questo complesso intreccio di patologie include non solo i problemi cardiaci e renali, ma anche disordini metabolici come il diabete e l’obesità. Ogni componente della sindrome CKM contribuisce a esacerbare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.
Secondo le linee guida attuali, il rischio di eventi cardiovascolari viene considerato elevato quando vi è una probabilità del 7,5% o più di subire un infarto o un ictus nei successivi dieci anni. Per le persone con diabete di tipo 2 o malattia renale cronica, tuttavia, questo rischio aumenta notevolmente, e ciò si verifica molto prima rispetto a quanto tradizionalmente si pensava. Lo studio ha dimostrato come queste condizioni non solo accelerino l’insorgenza delle malattie cardiovascolari, ma amplifichino anche la gravità degli eventi associati.
Uno studio basato su simulazioni
Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno utilizzato profili simulati di pazienti, rappresentativi di uomini e donne di età compresa tra i 30 e i 79 anni. Questi profili sono stati sviluppati attraverso il calcolatore PREVENT, uno strumento dell’American Heart Association progettato per stimare il rischio di eventi cardiovascolari. I dati utilizzati derivavano dal National Health and Nutrition Examination Survey, raccolti tra il 2011 e il 2020.
Attraverso il modello di simulazione, gli scienziati hanno valutato come la presenza di diabete di tipo 2, malattia renale cronica o entrambe queste condizioni influenzi l’età in cui una persona raggiunge un rischio cardiovascolare elevato. Hanno scoperto che, mentre per la popolazione generale il rischio significativo inizia intorno ai 68 anni per le donne e ai 63 per gli uomini, coloro che soffrono di CKM possono affrontare tale rischio anche tra i 30 e i 40 anni.
Un rischio sommerso: il ruolo dei fattori borderline
Un dato interessante emerso dallo studio riguarda il ruolo dei livelli borderline di glicemia, pressione arteriosa e funzionalità renale. Anche senza una diagnosi formale di diabete o malattia renale cronica, le persone con valori al limite possono trovarsi in una situazione di rischio nascosto. Questo suggerisce che il tradizionale approccio clinico, che spesso si concentra solo su diagnosi conclamate, potrebbe sottovalutare una fascia significativa della popolazione a rischio.
Per esempio, una donna con valori leggermente elevati di glicemia e una ridotta funzionalità renale potrebbe trovarsi a sviluppare malattie cardiovascolari diversi anni prima rispetto a quanto previsto dagli attuali modelli di rischio. Lo stesso vale per gli uomini con pressione arteriosa borderline. Questi risultati evidenziano l’importanza di un monitoraggio attento e proattivo, anche in assenza di sintomi evidenti.
L’importanza della diagnosi precoce
La possibilità di calcolare il rischio cardiovascolare in età più giovane rappresenta un progresso significativo. In passato, i modelli di rischio erano limitati ai soggetti di età superiore ai 40 anni e non consideravano parametri come la funzionalità renale. Grazie agli sviluppi attuali, è ora possibile identificare il rischio in persone di 30 anni o meno, offrendo l’opportunità di intervenire prima che il danno cardiovascolare diventi irreversibile.
Vaishnavi Krishnan, autore principale dello studio e ricercatrice presso la Northwestern University di Chicago, ha sottolineato che il nuovo approccio consente di valutare con maggiore precisione il rischio individuale. Questo è particolarmente rilevante per le persone con diabete o malattia renale, che potrebbero non essere consapevoli dell’elevato pericolo a cui sono esposte.