Avete presente quella sensazione per cui non riuscite a entrare in sintonia con un determinato genere? Capita molto di frequente con il jazz o la musica più “difficile”, ma può capitare anche con un genere più “popolare” come il reggae… Spesso si tratta solo di trovare una chiave che vi permetta di entrare nella logica e nella storia che sta alla base di quella musica. E allora eccovi una miniguida in dieci album per scoprire il reggae e capire se vi piace. Partiamo intanto con un po’ di inquadramento storico.
In principio fu lo ska, una musica caraibica dal ritmo in levare e dall’andamento costante, piuttosto veloce. Agli inizi degli anni Sessanta alcuni musicisti giamaicani iniziarono a interpretare canzoni famose per i turisti inserendo un po’ di Caraibi nelle loro versioni. Nacque lo ska, con grandi interpreti come gli Skatalites e Prince Buster, con album spesso strumentali e grande spazio a strumenti solisti come il sax. Poi venne il rocksteady, per molti versi simile, ma più lento e con evidenti influenze della musica soul americana.
La caratteristica era sempre l’andamento ritmico costante con la chitarra sul secondo e sul quarto tempo della battuta. E poi venne quello che conosciamo come reggae, spesso definito anche roots reggae, che a sua volta diede origine ad altri stili, come il ragamuffin e il dub. Tutti questi stili possono essere considerati come forme di un genere che complessivamente definiamo reggae. Ma per limitare il campo, in questo articolo mi concentrerò prevalentemente sul roots reggae, che è quello che più di tutti, forse, ha contribuito alla diffusione della musica giamaicana nel mondo, ma inserirò anche qualcosina di più… moderno.
Quando si parla di roots reggae ci si riferisce in genere a una musica con temi legati alla religione rastafari e ai temi tipici dei rasta e dell’attivista politico Marcus Garvey. Ma io credo che un genere musicale difficilmente possa essere definito dai temi trattati nei testi. Il termine roots reggae indica però che stiamo parlando delle radici, delle origini in qualche modo di questa musica. D’altra parte, quei temi sono effettivamente ricorrenti, e vale la pena spendere due parole per indicare le metafore principali più comunemente utilizzate.
La società moderna, consumista e guerrafondaia è in genere indicata come Babilonia, mentre Zion è una sorta di “terra promessa”, un luogo utopico in cui si può tornare a vivere in sintonia con la natura. La fratellanza e il rispetto fra tutti i popoli è decisamente un tema ricorrente, ma forse non sarebbe necessaria una religione per coglierne la necessità… I dread sono un tratto caratteristico dei rasta, anch’essi con un significato simbolico in qualche modo pare legato al mito di Salomone. E anche la marijuana è considerata un dono della natura e uno stile di vita. Tutti questi elementi fusi insieme hanno reso il reggae una musica dal messaggio potente, universale, che negli anni Settanta ha fatto presa in Inghilterra, soprattutto nel movimento punk.
Il confine tra i molteplici stili che compongono l’universo del reggae è comunque piuttosto sottile, con molti artisti che sarebbero riconducibili a volte allo ska, altre al roots, altre al dub e così via… Addirittura, ci sono casi come quello di Jimmy Cliff, che oltre a diversi successi reggae incise moltissime canzoni che si rifacevano di più al soul, come ad esempio Many Rivers to Cross. Cliff è comunque considerato una bandiera del reggae, uno dei principali divulgatori in America, soprattutto grazie alla sua partecipazione nel film Più duro è, più forte cade (The Harder They Come) del 1972, sia nella colonna sonora, sia in veste di attore.
Ma sono tantissimi gli eroi del reggae che, per ovvi motivi di spazio, non riesco a citare qui. E allora eccovi un elenco parziale di album importanti che non sono rientrati nell’elenco che segue. On the Beach è un album dei Paragons che risale addirittura al 1967, quando si parlava di rocksteady e ancora non di reggae. Gli Steel Pulse pubblicarono nel 1978 Handsworth Revolution, un album che spicca per personalità e qualità. New Chapter è invece un godibilissimo album reggae dei britannici Aswad, pubblicato nel 1981 e poi l’anno successivo in versione dub. Del 1981 è Wa-Do-Dem di Eeak-a-Mouse, con il suo tipico “singjay”, uno stile in cui la voce in toasting, recitata o cantilenata, si combina con il canto, utilizzando sillabe e suoni che hanno il solo scopo di costruire ritmi.
I Black Uhuru sono il primo gruppo ad aver vinto un Grammy per il miglior album reggae, con il loro Anthem del 1985. Tornando agli anni Settanta, Cool Rasta è l’album pubblicato dagli Heptones nel 1976, mentre Aquarius Rock è stato pubblicato nel 1973 da Herman Chin Loy, che possedeva un negozio di dischi e fu anche il produttore di grandi nomi come Augustus Pablo: di quest’ultimo vi consiglio l’album strumentale East of River Nile del 1977.
Sempre del 1977 è anche un altro album considerato fondamentale nella cultura reggae: Two Sevens Clash dei Culture. Infine, come dimenticare Mikey Dread? Un innovatore del reggae, noto per la sua duratura collaborazione con i Clash, pubblicò nel 1980 World War III. Sono consapevole di aver tralasciato tanti nomi e tanti album, ma credo sia arrivato il momento di passare ai dieci album per scoprire il reggae scelti per voi questa settimana.
Ovviamente in questo elenco non poteva mancare Bob Marley, che con i suoi Wailers è stato indubbiamente l’artista più importante nella diffusione e divulgazione del reggae. I Wailers nacquero negli anni Sessanta, sull’onda del successo dei gruppi ska giamaicani, ma furono interpreti del rocksteady e in seguito fra i creatori del sound più propriamente reggae.
Originariamente la band era composta da Bob Marley, Peter Tosh e Bunny Wailer. Negli anni Settanta ottennero un grande successo internazionale, soprattutto in Gran Bretagna. A quel punto la band si separa e Bob Marley rifonda i Wailers come la sua band di supporto. Gli album di Bob Marley sono tutti fondamentali e vi si ritrovano costanti riferimenti ai rastafari e alle loro tematiche, quindi rientrano appieno nella definizione di roots reggae. Exodus, pubblicato nel 1977, è il nono album in studio. Jamming è la sesta traccia.
Pubblicato nel 1976, Legalize It è l’album di esordio da solista di Peter Tosh dopo la sua uscita dai Wailers. Figura importantissima della scena reggae, è stato anche lui un promotore della filosofia rastafari, che includeva anche l’abitudine a fumare marijuana come pratica di depurazione dell’anima, o di apertura delle porte della percezione, come sostenevano in quegli anni artisti e intellettuali della beat generation, del free jazz e della psichedelia. Nel 1987, poco prima di essere assassinato durante una rapina in casa sua, aveva vinto il Grammy per il miglior album reggae con No Nuclear War. Legalize It è la title track e la traccia di apertura di questo bellissimo album.
Altro album di esordio solista dopo l’uscita dai Wailers del terzo componente originario. Blackheart Man, pubblicato nel 1976, è un album fondamentale del cosiddetto roots reggae e della cultura rastafari. Bunny Wailer, morto pochi anni fa, ha vinto il Grammy ben tre volte: nel 1990, nel 1994 e nel 1996. Anche qui la title track è anche la traccia di apertura dell’album, ma nel video ve la propongo in una esecuzione dal vivo al festival Sunsplash del 2015.
Altra figura importante della storia del reggae, Marcia Griffiths ha cantato con molti nomi importanti e preso parte a tanti album, oltre ad essere una delle cantanti delle I Threes, un trio di coriste che per diversi anni è stato parte integrante dei Wailers di Bob Marley. Naturally è il suo secondo album solista, pubblicato nel 1978, e include questa Feel Like Jumping, che vi propongo dal vivo al festival Rototom Sunsplash nel 2019.
I Maytals, dal 1972 in poi noti come Toots and the Maytals, sono una band fondata negli anni Sessanta come gruppo rocksteady. Sono considerati i primi ad aver usato però la parola reggae nel loro singolo Do the Raggay del 1968. In molti loro brani si sente l’influenza del soul americano. Never Grow Old è il loro album di esordio, del 1964. Nel video, una versione live degli anni Duemila della title track dell’album.
Pubblicato nel 1975, questo è il terzo album di Burning Spear, al secolo Winston Rodney, un’altra figura fondamentale per la diffusione del reggae e della filosofia rastafari. In particolare, Burning Spear è fortemente influenzato dalle idee dell’attivista politico Marcus Garvey, come si evince dal titolo di questo album. Nel 1999 Burning Spear ha vinto un Grammy per il miglior album reggae con Calling Rastafari. Dall’album Marcus Garvey, invece, ho scelto la seconda traccia, Slavery Days, nel video eseguita live in studio per una televisione olandese nel 1977.
Ancora una leggenda del reggae, esponente del roots reggae e profondamente legato ai temi rastafari. Horace Andy ha collaborato negli anni Novanta anche con i Massive Attack. In the Light, pubblicato nel 1977, è il suo quarto album. Contiene diversi splendidi brani, tra cui la traccia di apertura Do You Love My Music, Leave Rasta e la meravigliosa In the Light. Nel video però vi propongo un brano forse più famoso e altrettanto meraviglioso: Government Land.
Pubblicato nel 1973, Screaming Target è il primo album vero e proprio registrato in studio da Big Youth, pseudonimo di Manley Augustus Buchanan. Ed è un album storico, considerato fra i pilastri della storia del reggae. Anche in questo caso, si tratta di un artista profondamente legato al movimento rastafari e alla sua filosofia, come si evince anche dai riferimenti a “Babylon” e “Zion”. Big Youth utilizza spesso uno stile tra il parlato e il cantilenato, detto toasting. La title track, che apre l’album, sembra voler essere una risposta a un famosissimo brano di Dawn Penn di cui parleremo tra poco, del quale utilizza sostanzialmente la base. Lo riconoscete?
Arriviamo ora a tempi più recenti, con gli UB40, band britannica fondata nel 1978 e formata da musicisti di diverse provenienze geografiche: Inghilterra, Irlanda, Galles, Scozia, Giamaica e Yemen. Rat in the Kitchen, pubblicato nel 1986, è il loro settimo album. La sesta traccia è Rat in Mi Kitchen e quello che segue è il video ufficiale, girato a Mosca.
Questo album di Dawn Penn è stato pubblicato nel 1994, ma ha dietro una storia bizzarra. In realtà, l’album in sé è un po’ un ibrido tra pop e reggae, ma include una versione di You Don’t Love Me (no, no, no) che ebbe un enorme successo internazionale. Il brano era stato già inciso nel 1967 come singolo, nel periodo rocksteady di Dawn Penn, che veniva da collaborazioni con Prince Buster. Ed è a questo brano che Big Youth sembrava rispondere con la sua Screaming Target, anche se molti anni prima che diventasse un successo planetario!
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