Grazie, “mamma tigre”

Lo stesso giorno in cui il libro di Amy Chua Battle hymn of the tiger mother (L’inno di battaglia della mamma tigre) si è diffuso sulla rete come un virus, Deanna Fei ha scoperto di aspettare il suo primo figlio. Dopo aver visto la nazione indignarsi per i metodi educativi estremi della madre (cinese) più chiacchierata d’America (che chiama le sue figlie “spazzatura” e rifiuta i loro biglietti di auguri perché troppo poco creativi), l’autrice di A thread of sky (Uno squarcio di cielo) è rimasta nel suo letto per ore a riflettere. E, come racconta sull’Huffington Post, a sentirsi profondamente grata per la sua mamma tigre.

Proprio come Chua, anche quella di Deanna era una madre cinese “di ferro” che ha guidato le figlie verso il successo. Quando gli amici e i parenti si meravigliavano dei suoi buoni risultati a scuola, Deanna avrebbe voluto rispondere che non aveva avuto scelta: sua mamma non avrebbe accettato un voto inferiore al massimo. Perché, come diceva sempre, “non c’è una parola in cinese per provare”. In mandarino non si può dire “ho fatto del mio meglio” oppure “ma ci ho provato”. Cercare scuse è impossibile.

Da figlia di immigrati, Deanna Fei ha sentito il dovere di eccellere perché ha avuto il privilegio di crescere, con una madre cinese, in una terra di pace e prosperità. Ad ogni privilegio, però, corrisponde una responsabilità: la responsabilità di portare a compimento il suo sacrificio e cogliere le opportunità che, altrimenti, sarebbero state ad esclusivo beneficio degli americani (che Deanna definisce “più pigri e stupidi” di lei). Così, l’autrice ha cercato di adempiere al meglio a questo dovere ma, proprio come le figlie di Amy Chua, non è stata sempre felice. Ci sono stati momenti in cui ha deluso sua madre, intenzionalmente e non, in cui ci sono state ribellioni, pagelle truccate e firme false. Ci sono stati momenti in cui mamma e figlia hanno combattuto come animali, gridandosi a vicenda: “Mi stai rovinando la vita!”

Quando è entrata al college, scelto dalla madre, ha pensato di averne soddisfatto abbastanza le aspettative. Quindi ha partecipato a feste, si è divertita, ha avuto fidanzati che la mamma non avrebbe mai approvato. Si è laureata in scrittura creativa e ha trascorso la maggior parte dei suoi vent’anni all’estero, lontana da lei. Poi ha scritto un romanzo in cui alcune parenti cinesi, trapiantate in America, si riuniscono per un tour del loro paese di origine tra segreti, storie nascoste e desideri, senza mai lasciar da parte la pressione quotidiana del dover essere straordinarie. A thread of sky racconta dei rapporti tra queste donne, mamme e figlie, e della difficoltà di ritrovarsi quando a mancare è un linguaggio comune, una condivisione dei fallimenti e delle debolezze che rendono ogni essere umano, e non tigre.

Dopo queste riflessioni Deanna ha deciso di comprare una copia del libro di Amy Chua e di inviarla a sua mamma, con un bigliettino di ringraziamento. Il suo pensiero fisso, però, si rivolgeva alla sua pancia. Secondo il calendario cinese, infatti, suo figlio nascerà nell’anno del coniglio. Non una tigre, come Chua, o un cinghiale, come sua madre, e neanche un cavallo, come lei. Un coniglio: un dolce, carino e – aggettivo che la madre tigre ha utilizzato nel suo libro con maggior disgusto – tenero coniglio.

Così, insieme con suo marito, ha iniziato a decidere il loro piano di battaglia per educare il piccolo in arrivo: autostima, conquistata con fatica e successi e non grazie a lodi gratuite, disciplina e obbedienza, rispetto per gli anziani. Poi esercitazioni accademiche, lezioni di mandarino, e prove di pratica dopo la scuola. Un’educazione cinese in una terra a stelle e strisce.

Qualche giorno più tardi, Deanna ha ricevuto la risposta di sua madre, che definiva Amy Chua “un isterico mostro del controllo”. Allo stesso modo, anche la maggior parte del quasi miliardo e mezzo di cinesi rimarrebbe perplessa dell’affresco genitoriale che l’insegnante di Yale Amy Chua ha fatto nel suo “Inno di battaglia”. Se nei villaggi poveri spesso i bambini vagano senza controllo tra il bestiame, nelle città in piena espansione i “piccoli imperatori” sovrappeso, frutto della politica del figlio unico, spesso tiranneggiano su genitori e nonni.

L’atteggiamento duro che Chua attribuisce alle mamme con gli occhi a mandorla, in realtà, lo si può ritrovare anche tra le coreane, le indiane, le giamaicane e persino le irlandesi. Come sottolinea Deanna Fei, è un tratto caratteristico di tutte quelle famiglie di migranti che vivono il sogno americano. Ma questo è solo un aspetto. Se Chua spinge le sue figlie a diventare geni in matematica o prodigi della musica, la madre dell’autrice di A thread of sky voleva che lei e le sue sorelle si impegnassero nella società, sviluppando il loro senso di responsabilità personale e di dovere civico. Non solo. Mentre Chua racconta alle sue Sophia e Lulu che il duro lavoro è ciò che le differenzia dal bidello della scuola, la mamma di Deanna non ha mai abbandonato la tentazione di superare le diseguaglianze sociali, perché il successo scolastico – diceva – non deve essere fine a se stesso, ma una base necessaria per avere la forza di sfidare lo status quo e le passioni individuali. Deanna, infatti, è diventata una scrittrice, sua sorella un’attivista che difende i diritti degli immigrati e, la terza, un’insegnante. Carriere che non rappresentano lo stereotipo classico del successo, men che meno per Chua.

Educazione alla cinese o no, quel che ha capito Deanna riflettendo sulla sua educazione è che anche lei crescerà suo figlio (o sua figlia) esigendo sempre il massimo e non accontentandosi mai. In casa userà il mandarino: il verbo “provare” verrà bandito. Se il figlio non suonerà il pianoforte non sarà una tragedia: l’importante è che segua con tenacia una passione, qualunque essa sia.

Cinese o tigre, per la maggior parte delle volte le etichette vanno strette alle mamme. Perché ogni madre è solo un essere umano: il miglior piano di battaglia per i propri figli non può essere deciso a priori, ma deve essere un continuo “work in progress”, come i bambini, come ognuno di noi.

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