Il fascismo secondo Antonio Gramsci: “Il popolo delle scimmie”, una raccolta di scritti. Questa edizione, curata da Marco Revelli, “la nascita del regime vista in presa diretta, attraverso gli occhi del più grande intellettuale italiano del Novecento”.
Revelli è professore di Scienze della politica presso l’Università del Piemonte Orientale di Torino. Il libro è composto da una fondamentale Introduzione del curatore, e da 55 scritti gramsciani. Questo libro è tra quelli che a 100 anni dalla Marcia su Roma, andrebbero letti, riletti, consigliati, e pure regalati.
Le ragioni sono molte, e non riguardano solo la dimensione storico politica, hanno evidentemente anche una stretta connessione con il presente. Cos’è il fascismo? Come si genera? In quali condizioni matura? Sono solo alcune delle domande che troveranno soddisfazione da questa lettura.
Dicevamo dell’Introduzione: si, è molto importante leggerla e leggerla bene. Nell’economia del libro svolge un ruolo centrale. Per un totale di 51 pagine, esce ed entra dal pensiero gramsciano con una invidiabile facilità. Va utilizzata come se fosse una mappa, perché gli scritti di Gramsci sul fascismo hanno bisogno di cura ed esattezza per essere ben assorbiti.
“Come guida per strutturare il lungo viaggio compiuto da Gramsci nell’elaborazione della propria visione del fascismo può essere utile fare ricorso allo schema cronologico che Palmiro Togliatti si propose di seguire nelle celebri Lezioni sul Fascismo tenute a Mosca nel 1933” (Introduzione, pagina XXI).
Così facendo, Marco Revelli, propone al lettore una triplice suddivisione degli scritti, tre periodi della storia del fascismo che inevitabilmente s’intrecciano anche con le vicende personali di Gramsci culminate con la sua morte il 27 Aprile del 1937 dopo 11 anni di carcere.
“Il primo periodo copre gli anni italiani (e quasi esclusivamente torinesi) della biografia gramsciana, quelli in cui assunse responsabilità di direzione politica prima in campo locale, poi nazionale, scrive quasi quotidianamente sul «Grido del popolo», sull’edizione torinese dell’«Avanti» e, dal 1920, sull’«Ordine Nuovo», prima settimanale poi quotidiano” (Introduzione, pagina XXII).
È questa la fase nella quale la riflessione gramsciana si sofferma, seppur con diverse sfumature, sulla profonda crisi di egemonia delle classi dominanti sulle masse, che in Italia diventerà poi crisi dello Stato. Al banco degli imputati viene chiamata la piccola borghesia, che, nell’articolo che da il titolo a questo volume, pubblicato su «L’Ordine Nuovo» del 2 gennaio del 1921, verrà appunto definita “il popolo delle scimmie”.
“Il popolo delle scimmie riempie la cronaca, non crea storia, lascia traccia nei giornali, non offre materiale per scrivere libri. La piccola borghesia, dopo aver rovinato il Parlamento, sta rovinando lo Stato borghese: essa sostituisce, in sempre più larga scala, la violenza privata all’«autorità» della legge, esercita (e non può fare altrimenti) questa violenza caoticamente, brutalmente, e fa sollevare contro lo Stato, contro il capitalismo, sempre più larghi strati della popolazione” (pagina 39).
“Cos’è il fascismo, osservato su scala internazionale? È il tentativo di risolvere i problemi di produzione e di scambio con le mitragliatrici e le revolverate” (In “Ordine Nuovo”, 11 marzo 1921, pagina 45).
La seconda fase invece è quella nella quale Gramsci vede il restringersi dello spazio istituzionale. “Sono, questi della «seconda fase», i tempi del delitto Matteotti, dell’Aventino e della cosiddetta «crisi del fascismo», del colpo di mano del gennaio 1925 e della stretta liberticida culminata nelle «leggi fascistissime»” (Introduzione, pagina XLIII).
“Il delitto Matteotti dette la prova provata che il partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore che alcune pittoresche pose esteriori: egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alle storie nell’ordine delle diverse maschere provinciali italiane più che nell’ordine dei Cromwell, dei Bolivar, dei Garibaldi” (In “Ordine Nuovo”, 1 settembre 1924, pagina 131).
Ma sono anche gli anni nei quali il percorso politico ed intellettuale di Antonio Gramsci, raggiunge il suo culmine.
Nel Gennaio del 1926 si tiene a Lione – in Francia per via delle persecuzioni – il III Congresso del Partito Comunista d’Italia. Gramsci presenta le famose “Tesi di Lione” cioè il documento con il quale la sua visione della vita politica italiana, e la sua lettura del fascismo, vengono messe a sistema; verrà nominato segretario generale del partito.
“Il fascismo, come movimento di reazione armata che si propone lo scopo di disgregare e di disorganizzare la classe lavoratrice per immobilizzarla, rientra nel quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane, e nella lotta del capitalismo contro la classe operaia” (Dalle Tesi approvate dal Congresso del Partito comunista a Lione, pagina 155).
Nel Novembre dello stesso anno, esattamente l’8, viene arrestato. Incominciava la terza fase della sua riflessione, l’ultima, affidata ai “Quaderni dal carcere”.
L’analisi gramsciana sul fascismo è in questo ultimo periodo ormai matura, lucida, si struttura in una visione che diventa sistema. Ma sono anche le pagine dove la politica si fa destino, esperienza sulla pelle degli uomini.
“Quelli del carcere saranno anni durissimi. Isolato, lontano dalla vita attiva e dalla militanza politica, su posizioni sempre più divergenti rispetto alla linea prevalente a Mosca e nell’Internazionale, Gramsci fu costretto a pensare e a scrivere in solitudine, in condizioni proibitive affidate all’arbitrio dei suoi carcerieri, nei tanti luoghi di detenzione o di transito” (Introduzione, pagina XLVI).
“Gramsci utilizzerà questo tempo di dolorosa cattività per rielaborare i turbolenti processi di pensiero sviluppati fino al ’26 e aggiornarli alla luce degli eventi periodizzanti accaduti nel passaggio tra gli anni Venti e gli anni Trenta – un vero e proprio salto di paradigma nella vicenda bisecolare del capitalismo mondiale -, dando alla propria linea di pensiero una più organica sistematizzazione” (Introduzione, pagina XLVI).
Di questo periodo sono riportati 14 saggi sul Fascismo, tra i quali restano centrali, nella riflessione gramsciana, quello sul “Cesarismo”, sulla “questione italiana”, sul concetto di “egemonia” e sulla categoria di “rivoluzione passiva”.
Ha senso rileggere oggi una raccolta di scritti di Gramsci sul fascismo? O meglio: è utile avere tra i propri attrezzi le lenti gramsciane?
La risposta si può trovare proprio in questa raccolta. Perché il pensiero gramsciano è come la Rivoluzione Russa, se vogliamo capire il ’900 è da lì che si deve partire. E Gramsci è uno degli sguardi utili per comprendere il secolo passato ed anche i fatti storico politici di oggi.
A pagina 86 di questa raccolta, è riportato il famoso scritto “Che fare”, del 1° novembre del 1923, apparso su “La voce della gioventù”. Gramsci cerca di indicare la via che la classe operaia deve seguire per giungere alla vittoria contro l’ideologia fascista. Ad un certo punto scrive: “riunirsi, comprare dei libri, organizzare lezioni e conversazioni su questo argomento, formarsi dei criteri solidi di ricerca e di esame e criticare il passato, per essere più forti nell’avvenire e vincere”.
Certo, sono passati quasi 100 anni dal “Che fare” gramsciano, il contesto storico era un altro, ma il consiglio vale ancora, perché i nuovi rischi esistono, sono le “democrature”, ed il baratro è sempre ad un passo.
“Antonio Gramsci. Il popolo delle scimmie. Scritti sul fascismo. ”, a cura di Marco Revelli, Einaudi, pp.280, Formato cartaceo €13,00, Formato digitale €7,99.
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