Non che ne siano rimasti a milioni, non che non si sappia che stanno letteralmente per finire, non che si ignori che tenerli in vita può essere, anzi è fonte di reddito. Ma Homo se ne frega, il suo istinto è più forte di ogni istanza razionale e perfino utilitaristica, Homo di elefanti ne ammazza uno ogni 26 minuti. Lo fa, uccide, sostanzialmente per l’avorio. Per il qui, ora, poco, maledetto e subito. Lo fa solo il cattivo, malvagio, crudele, ignorante bracconiere africano magari su mandato e paga del mercante asiatico che ricicla il bottino? Lo fanno solo i membri della specie Homo che vivono in condizioni di indigenza materiale e culturale? Proprio no, questa è altra favola che amiamo raccontarci, quella che a livello di massa e di comportamenti reali siamo, almeno in alcune popolazioni, diventati consapevoli del legame tra sopravvivenza dell’habitat e sopravvivenza della specie, quella Homo.
Consapevoli e quindi finalmente attenti e disposti a provare a raddrizzare un piano che più inclinato difficilmente si può. Il piano inclinato che porterà tra due/tre generazioni al massimo di Homo (ma anche meno) a vivere con meno cibo, meno terra coltivabile, più deserti, meno acqua. A vivere, anzi sopravvivere, con meno sicurezza e ricchezza di quanto oggi la specie non faccia. Ma Homo se ne frega, anche se il piano inclinato glielo sbatti in faccia. Se lo vede, se proprio non ne può negare l’esistenza, ci corre sopra nella idea, in fondo superstiziosa, che sì, toccherà pure a qualcuno, ma non proprio a lui, non proprio a me, qui proprio qui. I bracconieri che macellano gli elefanti rimasti sono una forma particolarmente visibile della devastazione incosciente e persistente che Homo infligge alle altre specie, all’habitat planetario e soprattutto a se stesso appunto come specie. Ma, se ci conviene e ci piace, in qualche modo siamo tutti bracconieri. Anche le pubbliche opinioni che giocano a dirsi amici della giovane Greta Giovanna d’Arco della Sacra Natura.
Una recita, come quelle scolastiche
Sì, la lezione sembra ormai appresa. E le pubbliche opinioni qua e là nel pianeta, soprattutto quelle occidentali, ne recitano volentieri il testo. Come si faceva una volta per la poesia di Natale che si recitava a tavola, un piatto con farcito di buoni propositi e promesse. Tutti applaudivano e si complimentavano. Come si fa oggi per e nelle recite scolastiche. Tutti convinti e compunti a lodare la bontà, la parsimonia, la gentilezza, la cura del prossimo, la solidarietà. La recita è convinta e partecipe e poi finisce lì. Poi riprende senza sosta e senza dubbi la pratica quotidiana e quasi universale non solo di sfruttare risorse naturali.
Sfruttarle è umano, molto umano. Ma non solo sfruttarle, la pratica quotidiana e quasi universale è esaurirle se capita. Ed anche esaurirle è purtroppo umano, molto umano. Negli stessi giorni del calcolo WWF di un elefante ucciso per mano umana ogni 26 minuti, la rilevazione scientifica e documentata che Homo specie riesce anche a sciogliere nell’acido i granchi. Sì, oceani acidificati da attività ed emissioni e rifiuti da umane imprese sciolgono i gusci dei granchi e perfino spengono il loro olfatto. Homo come specie e come individuo tende al pensiero doppio: che mi frega dei granchi e che c’entro io coi granchi? O con gli elefanti? Per la corazza dei granchi o per il loro “naso” o quel che sia dovrei, che so, navigare meno per mare, rallentare commerci, rimetterci in denaro qui, io, ora?
Homo: bello il bel pianeta, ma non pago
I granchi, gli elefanti, gli orsi, le api, l’intera panoplia delle specie marine, più o meno tutte quelle della foresta e della savana…Homo evoluto, informato, consapevole dice quel che il Marchese del Grillo dice ad Aronne Piperno tappezziere-ebanista: “Bello, bello tutto. Ma non ti pago”. Bello salvare l’habitat dice Homo. Purché sia gratis, gratis e comodo. Poche speranze dunque per la specie. Quella Homo.