Gesù prese il pane e il calice col vino, così con Marco e Paolo nacque l’Eucarestia

Gesù prese il pane, lo spezzò, lo diede loro e disse: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Ed egli disse loro: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti”. Così è scritto nel Vangelo di Marco (14:22-26), il più antico.

“Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver pronunciato la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Ed egli disse loro: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti. In verità vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo berrò nuovo nel regno di Dio». Dopo che ebbero cantato l’inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi”.

Paolo, l’inventore del cristianesimo per i non ebrei, aggiunge (1 Cor 11, 23-27). “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga”

Sono le due versioni più antiche della istituzione della eucarestia. Papa Ratzinger Benedetto XVI, nella sua monumentale opera su Gesù, non prende parte e si limita a esporre le due correnti di pensiero. Ratzinger insiste anche nella originalità del rito cristiano, coerentemente con la spinta a definire l’unicità della vera religione cristiana anzi cattolica.

A questo fine sembra sia anche sparito dalla Messa cattolica il riferimento al sommo sacerdote Melchisedech. Costui più di tremila anni fa, era re non ebreo di Gerusalemme quando ricevette Abramo, la cui identità etnica non sembra fosse ancora definita, e lo intrattenne con pane e vino.

Di pane (“non di solo pane vive l’uomo) si è nutrita l’umanità fino a ieri, il vino è un prodotto del medio oriente fin dai tempi di Noe. Viene da pensare che pane e vino facessero parte di rituali antichissimi, risalenti ai millenni, forse dieci da oggi, in cui l’umanità scopri i frutti della terra coltivata.

Sulla istituzione della Eucarestia, Ratzinger elabora così.

S”i possono distinguere due modelli di fondo: da una parte c’è il racconto di Marco, col quale concorda in gran parte il testo di Matteo; dall’altra, c’è il testo di Paolo, a cui è affine quello di Luca. Il racconto paolino è il testo letterariamente più antico: la Prima Lettera ai Corinzi fu scritta nell’anno 56 circa. Il tempo della redazione del Vangelo di Marco è posteriore, ma è indiscusso che il suo testo riferisce una tradizione molto antica.

“Rudolf Pesch si è espresso con argomenti rilevanti in favore dell’antichità maggiore della tradizione di Marco, che sarebbe da datare agli anni trenta. Ma anche il racconto di Paolo risale al medesimo decennio. Paolo a sua volta dice di tramandare ciò che egli stesso ha ricevuto come tradizione risalente al Signore”.

“Pesch vede provata la precedenza storica del racconto di Marco nel fatto che esso sarebbe ancora una semplice narrazione, mentre considera 1 Corinzi 11 come «eziologia cultuale» e quindi come un testo già formato liturgicamente ed adattato alla liturgia (cfr Markusevangelium II, pp. 364-377, in particolare 369). In questo c’è sicuramente del vero.

“Ambedue i modelli della tradizione vogliono tramandarci veramente il testamento del Signore. Insieme rendono riconoscibile la ricchezza delle prospettive teologiche dell’avvenimento e, allo stesso tempo, ci mostrano la novità inaudita che Gesù ha realizzato in quella notte. Di fronte ad un evento così imponente e unico dal punto di vista teologico e della storia delle religioni come quello illustrato dai racconti dell’ultima cena, non poteva mancare la messa in questione da parte della teologia moderna:

“Emerge, tuttavia, la domanda: qual è precisamente la cosa che il Signore ha ordinato di ripetere? Sicuramente non la cena pasquale (nel caso che l’ultima cena di Gesù fosse stata una cena pasquale). La Pasqua era una festa annuale, la cui celebrazione ricorrente in Israele era chiaramente regolata dalla sacra tradizione e legata ad una precisa data. Anche se in quella sera non si fosse trattato di una vera cena pasquale secondo il diritto giudaico, ma di un ultimo convito terreno prima della morte, questo non è l’obiettivo del comando di ripetizione.

“Il comando si riferisce quindi soltanto a ciò che nell’agire di Gesù in quella sera era una novità: lo spezzare il pane, la preghiera di benedizione e di ringraziamento e con essa le parole della transustanziazione del pane e del vino. Potremmo dire: mediante quelle parole, il nostro momento attuale viene tirato dentro il momento di Gesù. Si verifica ciò che Gesù ha annunciato in Giovanni 12,32: dalla croce Egli attira tutti a sé, dentro di sé”.

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Sergio Carli