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Il fenomeno di quelli che pagano per sparire da Internet

Il web si è trasformato negli ultimi anni in uno spazio dove la presenza online può diventare un’arma a doppio taglio. Per chiunque abbia subito una macchia sulla propria reputazione, anche un singolo articolo, post o commento può diventare un problema difficile da eliminare. Questo ha portato alla nascita di un fenomeno che sta prendendo sempre più piede, anche in Italia: persone e aziende disposte a pagare agenzie specializzate per far scomparire contenuti indesiderati dal web o renderli quasi impossibili da trovare.

Queste operazioni, in gran parte sconosciute al pubblico, fanno leva su strumenti legali e tecniche digitali avanzate per manipolare i motori di ricerca e controllare il flusso di informazioni. Tuttavia, ciò che può sembrare una soluzione rapida per problemi di reputazione si inserisce in un dibattito molto più ampio, che tocca la sfera del diritto all’oblio, della libertà di cronaca e dei limiti etici di queste pratiche.

Le radici legali: il diritto all’oblio

Uno dei fondamenti legali su cui si basano le richieste di rimozione di contenuti dal web è il cosiddetto diritto all’oblio, un principio giuridico riconosciuto a livello europeo. Il diritto all’oblio si riferisce alla possibilità, per un individuo, di richiedere la cancellazione di informazioni personali obsolete o non più rilevanti che potrebbero danneggiare la sua reputazione. Questo diritto, sancito dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), è particolarmente applicabile nei casi in cui informazioni datate continuano a circolare sul web senza una reale rilevanza attuale.

Nonostante la sua utilità, il diritto all’oblio non è sempre facile da esercitare. Ogni caso deve essere valutato individualmente, bilanciando il diritto alla riservatezza con il diritto di cronaca e di accesso alle informazioni. Per esempio, un articolo di giornale su un fatto di cronaca potrebbe non essere eliminabile, anche se ormai datato, perché rientra nell’interesse pubblico. Di conseguenza, il diritto all’oblio viene spesso invocato, ma non sempre garantito.

La nascita delle agenzie di web reputation

Proprio per la difficoltà di ottenere la cancellazione dei contenuti indesiderati direttamente dalle piattaforme o dai motori di ricerca, molte persone si rivolgono a professionisti della cosiddetta “web reputation”, ovvero agenzie specializzate nella gestione dell’immagine digitale di privati e aziende. Queste agenzie adottano diverse strategie per ridurre la visibilità di contenuti dannosi o imbarazzanti, lavorando a stretto contatto con avvocati esperti di privacy e tecnici SEO (Search Engine Optimization) per ottenere risultati concreti.

Tra le tecniche più comuni ci sono:

  • Invio di richieste di rimozione a editori e webmaster, spesso tramite diffide legali che richiamano la presunta violazione del diritto all’oblio o la diffamazione.
  • Manipolazione dei risultati di ricerca, sfruttando tecniche SEO per spingere i contenuti negativi verso il basso nella gerarchia dei risultati di Google. Poiché la maggior parte degli utenti tende a limitarsi ai primi risultati di ricerca, rendere un contenuto “invisibile” a chi naviga può essere sufficiente per ridurre il suo impatto negativo.

In molti casi, le agenzie creano nuovi contenuti positivi per sovrastare quelli negativi, sfruttando backlink e altri strumenti SEO per farli apparire come più rilevanti. Questo può includere la creazione di blog, articoli o profili social studiati appositamente per migliorare l’immagine del cliente e fare in modo che i motori di ricerca li considerino più pertinenti rispetto ai contenuti problematici.

I metodi controversi e i limiti legali

Sebbene alcune delle tecniche adottate da queste agenzie siano perfettamente legali e rientrino nel diritto alla protezione della privacy, altre sono più controverse e sfiorano i confini dell’etica. Ad esempio, un metodo ampiamente utilizzato è la generazione massiccia di backlink falsi: creando una rete di siti web di bassa qualità che contengono collegamenti a nuovi contenuti positivi, si riesce a manipolare l’algoritmo di Google, che considera questi link come un segnale di rilevanza.

Questa pratica, pur essendo formalmente legale, pone domande sul suo impatto sulla trasparenza delle informazioni online. In sostanza, si tratta di un tentativo di riscrivere la storia digitale di una persona o un’azienda, soffocando la visibilità di contenuti reali attraverso una valanga di nuove informazioni create ad hoc. Il pericolo è che, in questo modo, si possa distorcere la percezione della verità e cancellare tracce di fatti che potrebbero invece avere un valore per l’opinione pubblica.

Un altro aspetto discutibile riguarda il costo di questi servizi, che varia in modo significativo. Si parte da poche migliaia di euro per operazioni semplici, come la rimozione di un articolo, fino ad arrivare a decine di migliaia per interventi più complessi che coinvolgono molteplici contenuti su diversi siti. Non è raro che, in casi estremi, persone che vogliono cancellare completamente la propria presenza online arrivino a spendere somme ingenti per un lavoro di “bonifica” digitale che può durare mesi, se non anni.

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I metodi controversi e i limiti legali (blitzquotidiano.it)

Il ruolo delle piattaforme e dei motori di ricerca

I giganti del web come Google hanno un ruolo cruciale in questo scenario. Essendo la porta di accesso principale alla maggior parte delle informazioni disponibili online, le decisioni di Google in merito alla gestione delle richieste di rimozione o deindicizzazione sono determinanti. Google ha stabilito criteri chiari per il trattamento delle richieste di diritto all’oblio, basati su un equilibrio tra l’interesse pubblico e il diritto alla privacy del singolo.

Nonostante questo, molte richieste vengono rifiutate perché considerate non sufficientemente giustificate. In tali casi, le agenzie di reputazione online cercano di aggirare il problema sfruttando le lacune nei sistemi di classificazione dei contenuti dei motori di ricerca, come nel caso della generazione di backlink falsi o della creazione di contenuti superflui per abbassare la rilevanza di quelli negativi.

L’eterno conflitto tra privacy e diritto all’informazione

Il tema della rimozione di contenuti dal web e del diritto all’oblio solleva inevitabilmente il dilemma tra il diritto individuale alla riservatezza e il diritto collettivo all’informazione. Mentre da un lato è comprensibile che chiunque abbia subito un danno reputazionale voglia limitare l’accesso a informazioni obsolete o imprecise, dall’altro bisogna tenere in considerazione che certi fatti, anche se datati, possono essere di interesse pubblico.

Un altro aspetto da non trascurare è la trasparenza e la responsabilità delle agenzie di web reputation. Se da un lato queste realtà offrono un servizio legittimo a chi desidera tutelare la propria immagine, dall’altro devono operare all’interno di limiti chiari e rispettare le leggi sulla libertà di informazione. Il rischio è che si sviluppi una sorta di mercato “ombra”, in cui solo chi ha risorse economiche significative può permettersi di riscrivere la propria storia digitale.

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