Nel 1969, la storia dell’arte subisce un duro colpo con il furto della “Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” di Caravaggio. Tutto ha inizio una mattina di metà ottobre a Palermo, nell’Oratorio di San Lorenzo, nel quartiere Kalsa. Le sorelle Gelfo, incaricate di tenere in ordine il luogo, notano subito qualcosa di strano: una finestra è stata forzata e la serratura usurata non ha retto. Entrambe, con sgomento, si accorgono che l’opera, un capolavoro del barocco rimasto lì per oltre 360 anni, è sparita.
Quel giorno segna l’inizio di un mistero che dura da più di 50 anni e che ha reso la “Natività” una delle opere d’arte più ricercate al mondo, inserita nella lista nera dell’FBI. Nonostante i numerosi tentativi di ritrovarla, la sua sorte rimane ancora oggi avvolta nel mistero.
Il furto della Natività avviene in un periodo particolarmente turbolento per l’Italia. Siamo nel pieno dell’“autunno caldo”, segnato da scioperi operai e tensioni sociali. Inoltre, nell’agosto del 1969, una serie di attentati terroristici ai treni aveva scosso il paese. L’attenzione pubblica era ancora concentrata sul processo di Bari contro la mafia di Corleone, terminato con 64 assoluzioni, tra cui quella di Totò Riina, alimentando un clima di incertezza e sfiducia.
In questo contesto difficile, la scomparsa del quadro di Caravaggio aggiunge un ulteriore elemento di caos e mistero. Le indagini si intrecceranno più volte con il mondo della criminalità organizzata, gettando ombre su Cosa Nostra e il possibile coinvolgimento della mafia nel furto.
Nel corso degli anni, sei pentiti della mafia hanno fornito versioni diverse su cosa sia successo alla Natività. Alcuni raccontano che l’opera veniva esibita durante i summit mafiosi come un trofeo; altri sostengono che sia stata tagliata in pezzi e venduta, o addirittura usata come scendiletto dai boss di Cosa Nostra. Uno dei pentiti più noti, Marino Mannoia, rivelò a Giovanni Falcone che l’opera era stata distrutta, ma anni dopo ha ritrattato la sua testimonianza, ammettendo che le sue parole erano state influenzate dalle pressioni dell’antimafia.
Le versioni discordanti hanno reso difficile ricostruire la verità e hanno alimentato il mistero attorno al dipinto. Tuttavia, non esistono prove concrete che possano confermare o smentire una versione rispetto all’altra, lasciando la vicenda irrisolta.
Cinque anni dopo il furto, un altro elemento intrigante emerge dalla corrispondenza tra il sovrintendente alle Belle Arti Vincenzo Scuderi e il maggiore dei carabinieri Ninì Russo. In una lettera del 1974, Scuderi accenna a contatti telefonici tra il parroco dell’Oratorio e alcuni “ricettatori”, suggerendo la possibilità di una trattativa per il recupero dell’opera. Tuttavia, questa trattativa sembra non aver mai portato a nulla di concreto.
L’ipotesi che la mafia abbia tentato di ricattare lo Stato per ottenere un riscatto è una delle tante piste seguite dagli investigatori, ma anche questa si rivela inconcludente. La lettera lascia aperte molte domande, tra cui la possibilità che il dipinto fosse ancora in circolazione a cinque anni dal furto.
Ad oggi, non ci sono certezze su dove si trovi la Natività di Caravaggio. Alcuni esperti, come Michele Cuppone, hanno avanzato l’ipotesi che l’opera sia stata trafugata in Svizzera poco dopo il furto, come suggerito dalla Commissione Antimafia nel 2018. Secondo questa teoria, uomini di mafia come Gaetano Badalamenti avrebbero orchestrato il furto e il trasporto del dipinto all’estero.
La mancanza di prove concrete e la molteplicità di versioni hanno reso quasi impossibile ritrovare il capolavoro. Tuttavia, la speranza di recuperarlo non è completamente svanita, anche se il tempo rende sempre più difficile immaginare un lieto fine. Nel frattempo, una riproduzione digitale del dipinto è stata collocata sopra l’altare dell’Oratorio di San Lorenzo, ma il vuoto lasciato dalla perdita dell’opera originale è ancora sentito profondamente.
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