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Lifestyle

Le cover più ardite di Bob Dylan: Arthur Brown, The Nice, Flogging Molly…

Oggi parliamo di un artista che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni e che vanta una enorme quantità di brani reinterpretati da nomi famosi e meno famosi. Noi però ci concentreremo solo sulle cover più ardite dei brani di Bob Dylan, lasciando da parte le tante interpretazioni che pure hanno lasciato segni importanti nella storia del rock. Alla tenera età di 83 anni, Bob Dylan è ancora attivo: l’ultimo album è Shadow Kingdom, pubblicato nel 2023.

Figura centrale della musica folk e del movimento delle canzoni di protesta, in particolare degli anni Sessanta, ha comunque influenzato più o meno direttamente musicisti appartenenti agli stili più diversi, come risulterà evidente anche dall’elenco che segue. Alcune interpretazioni di brani di Dylan sono divenute storiche, come ad esempio la cover di All Along the Watchtower realizzata da Jimi Hendrix, che lo stesso Dylan elogiò, affermando che avrebbe voluto ideare lui quell’arrangiamento. Si tratta di una cover che avrebbe avuto tutto il diritto di rientrare in questo articolo, se non fosse che le possibilità tra cui scegliere sono tantissime, e ho preferito dare spazio a versioni che non fossero… già note anche alle pietre!

Tributi ed esclusioni di eccezione

Gli album tributo a una figura come quella di Bob Dylan non si contano, ma ho pensato comunque di segnalarne alcuni, che mi pare contengano brani con la potenzialità di essere considerati arrangiamenti arditi rispetto alle versioni originali. A Tribute to Bob Dylan – Whatever Colors You Have in Your Mind è una compilation pubblicata nel 2007, che contiene interpretazioni prevalentemente legate al mondo del blues e del country.

In particolare, degne di nota sono It’s All Over Baby Blue nell’arrangiamento dei Them, Blowin’ in the Wind interpretata da Augie Meyers e Highway 61 Revisited nella versione dei Downliners Sect. Altro interessante album tributo è Chimes for Freedom: The Songs of Bob Dylan Honoring 50 Years of Amnesty International, del 2012, da cui in effetti ho estratto alcuni dei brani dell’elenco che segue. La compilation contiene interpretazioni anche di Pete Seeger, Taj Mahal e addirittura Sting! Del 2016 è The Freewheelin’ Bob Dylan: A Folk Tribute, con un’interpretazione a cappella di Oxford Town da parte del Bannau Trio e una bella versione di Blowin’ in the Wind ad opera di Seth Lakeman, oltre alla partecipazione di artisti del calibro di Billy Bragg.

Altro album tributo estremamente ricco e interessante è Subterranean Homesick Blues: A Tribute to Bob Dylan’s “Bringing It All Back Home”, del 2010, con alcune reinterpretazioni di tutto rispetto. E non poteva mancare un tributo reggae: Blowin’ in the Wind: A Reggae Tribute to Bob Dylan, del 2002, dove spiccano la versione di Knocking on Heaven’s Door di Judy Mowatt e quella di The Mighty Quinn dei Reggae Rockers, originariamente Quinn the Eskimo (The Mighty Quinn).

Molti sono anche gli artisti, più o meno famosi, che hanno dedicato a reinterpretazioni di Bob Dylan interi album: dai bluegrass Nitty Gritty Dirt Band che nel 2022 hanno pubblicato Dirt Does Dylan, a Chrissie Hynde con Standing in the Doorway del 2021, a Joan Osborne con Songs of Bob Dylan del 2017, a Steve Howe e molti altri… Tra questi, però, vi segnalo Bob Dylan Songs, album del 2007 di Emily Lacy, che contiene diverse interpretazioni piuttosto ardite, come With God on Our Side eseguita a cappella con un grande uso di effetti.

Vale la pena inoltre citare alcune canzoni che non compariranno nell’elenco che segue. Forever Young è stata ad esempio interpretata in maniera ardita da Harry Belafonte nel 1981, nell’album Loving You is Where I Belong, in un medley con Jabulani. Ma la stessa Forever Young la troviamo nella colonna sonora di Sons of Anarchy, nel 2008, in una versione quasi esclusivamente vocale di Audra Mae. Altri grandi nomi che l’hanno interpretata, anche se più fedelmente, includono Meat Loaf, i Pretenders, Johnny Cash, Jerry Garcia e Eddie Vedder. Altro brano che non incontreremo più avanti è Death is not the End, che tra gli altri è stato quasi un inno per Nick Cave & the Bad Seeds, che l’hanno inclusa nel loro Murder Ballads del 1996 con la partecipazione di molti cantanti celebri.

Ma è stato anche un cavallo di battaglia dei Waterboys, che l’hanno incisa nell’album dal vivo The Live Adventures of the Waterboys del 1988. Di Knockin’ on Heaven’s Door mi piace ricordare anche la versione dei Television, inclusa in Blow Up del 1982: sicuramente più interessante e personale di quella realizzata più recentemente dai Guns’n’RosesShe Belongs to Me vanta un’interpretazione incredibilmente estesa e variata da parte dei Nice, inclusa nell’album Nice del 1969, ma anche una versione registrata dai Tom Tom Club di Tina Weymouth in Boom Boom Chi Boom Boom del 1988.

C’è poi il caso di Girl from the North, reinterpretata da Pete Townshend, Sting, dai Waterboys nel loro Fisherman’s Blues del 1988 e da Annie Barbazza in Annie’s Playlist del 2017. Mi pare già evidente quanto l’influenza di Dylan abbia attraversato tutti i generi musicali, oltre che i decenni.

Ani DiFranco, Hurricane

Originariamente incluso in Desire del 1976, Hurricane è un brano piuttosto lungo di Dylan, con i famosi interventi di violino, sempre diversi, a intervallare le numerose strofe. Questa versione di Ani DiFranco, inclusa in Swing Set del 2000, ha il merito e l’ardire di inserire un groove di basso e di asciugare la melodia in un arrangiamento che stravolge il brano originale, ma rende anche la sua lunghezza facilmente accettabile per un orecchio medio. Segnalo qui anche una versione strumentale jazz di Hurricane, pubblicata da Cinzia Tedesco nel 2024.

Rage Against the Machine, Maggie’s Farm

Maggie’s Farm è un brano simbolo, contenuto originariamente in Bringing It All Back Home, album che nel 1965 segnò il passaggio di Dylan alla strumentazione elettrica. Negli anni, è stato reinterpretato innumerevoli volte, ma tra le cover più ardite spiccano di certo quella dei Castanets, inclusa nel tributo Subterranean Homesick Blues del 2010 citato sopra, e quella degli Specials, in More Specials del 1980. Qui però ho scelto la versione rock e ardita dei Rage Against the Machine, che certo traghettano il brano in territori inattesi per chiunque sia abituato ad ascoltare solo la versione originale.

Pj Harvey, Highway 61 Revisited

Inclusa originariamente nell’omonimo album del 1965, Highway 61 Revisited è stata oggetto di reinterpretazioni da parte di molti artisti. Poche versioni però possono competere per arditezza con quella realizzata da Pj Harvey nel 1993 per il suo album Rid of Me. Nel video, vi propongo una esecuzione live.

Arthur Brown, A Hard Rain’s A-Gonna Fall

Tratta dal secondo album di Dylan, The Freewheelin’ Bob Dylan del 1963, A Hard Rain’s A-Gonna Fall è diventata per Arthur Brown una sorta di cavallo di battaglia, eseguita dal vivo per molti anni prima di essere incisa nel 2015 per la compilation The Sixties Reimagined. Qui siamo di fronte a un’interpretazione che non è solo ardita, ma direi anche visionaria e psichedelica. Vale la pena di godersela in un’esecuzione live del 2010.

My Chemical Romance, Desolation Row

Di questo brano esiste una versione in italiano di De André, dal titolo Via della povertà: tolta la traduzione, però, si tratta di una versione piuttosto fedele all’originale. Quella realizzata dai My Chemical Romance nel 2009 e inserita nella colonna sonora del film Watchmen, si può invece ben definire ardita. Paragonatela all’originale di Dylan del 1965, nell’album Highway 61 Revisited, e anche voi non avrete dubbi! Qui di seguito il video ufficiale pubblicato dai My Chemical Romance.

Angelique Kidjo, Lay Lady Lay

Lay Lady Lay è stata pubblicata nella versione originale nel 1969, nell’album Nashville Skyline. Era già stata interpretata, fra gli altri, da Kevin Ayers. Ne esiste anche un’interessante versione reggae, realizzata da Chalice per il tributo Blowin’ in the Wind: A Reggae Tribute to Bob Dylan del 2022. E inoltre vi segnalo la versione strumentale jazz incisa da Vince Tempera e la macchina del piacere nel 1970, in Pleasure Machine. La cover della cantante beninese Angelique Kidjo inserisce intriganti elementi di musica africana, ed è stata realizzata nel 2012 per il tributo Chimes of Freedom già citato.

Mountain, Like a Rolling Stone

Famosissimo brano di Dylan, incluso anch’esso in Highway 61 Revisited del 1965, Like a Rolling Stone è stato reinterpretata da una miriade di artisti celebri, primi fra tutti forse proprio i Rolling Stones, ma anche Jimi Hendrix… Qui vi segnalo la versione jazz con archi di Patricia O’Callaghan, contenuta in Real Emotional Girl del 2000, e quella dei Jane’s Addiction inserita in un medley con Burning from the Inside dei Bauhaus, pubblicata con il titolo Bobhaus. L’interpretazione dei Mountain è sicuramente però la più ardita, inclusa nell’album Masters of War del 2007, interamente dedicato a canzoni di Dylan. Sempre nell’ottica delle cover ardite, vi suggerisco l’ascolto dallo stesso album di Blowin’ in the Wind e Mr. Tambourine Man.

The Nice, My Back Pages

Questo è un ulteriore perfetto esempio di come le canzoni di Dylan abbiano viaggiato non solo attraverso il tempo, ma anche attraverso i generi. Nel loro album del 1971 Elegy, i Nice includono infatti questa incredibile reinterpretazione di My Back Pages, originariamente inclusa in Another Side of Bob Dylan del 1964. E questa versione diventerà un marchio di fabbrica per la band prog, quasi come se fosse un brano scritto da loro!

Flogging Molly, The Times Are A-Changing

Title track originariamente del terzo album di Dylan The Times Are A-Changing del 1964, questo brano ha tutto il sapore delle canzoni folk di protesta degli anni Sessanta. È chiaro quindi come un’interpretazione jazz, come quella di Maria Pia De Vito inclusa nel suo Dreamers del 2020, possa spostarne completamente la percezione e risultare piuttosto ardita. Ma quando i Flogging Molly nel 2012 incisero la loro versione per il tributo Chimes for Freedom già citato, con il loro stile fra folk irlandese e atteggiamento punk, realizzarono una piccola opera d’arte che certo si può anche definire una cover ardita!

Siouxsie and the Banshees, This Wheel’s on Fire

Per concludere, vi propongo di andare a riscoltare This Wheel’s on Fire nella reinterpretazione di Siouxsie and the Banshees, inclusa nel loro album di sole cover del 1987 Through the Looking Glass. Pare che la band non sapesse neanche si trattasse di un brano di Dylan, ma che si fosse ispirata a una delle tante versioni successive realizzate da artisti di ambiti diversi. Quindi per loro sarebbe stato facile creare un’interpretazione così lontana dall’originale del 1975, inclusa in The Basement Tapes.

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Roberto Cruciani

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