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Le cover più ardite di David Bowie: The Cure, Paolo Fresu, Peter Gabriel…

David Bowie è stato senza ombra di dubbio una figura centrale nella storia della musica recente. È quindi normale che le sue canzoni siano state più volte reinterpretate da un grandissimo numero di artisti. Ma in questo articolo mi sono concentrato sulle cover più ardite di David Bowie, quelle che, pur mantenendo un buon livello qualitativo, si allontanano di più dall’originale. Moltissimi sono gli artisti che negli anni hanno dedicato interi album alla reinterpretazione dei brani di Bowie. E ancora più innumerevoli sono gli album tributo in forma di compilation.

Tra questi spiccano per originalità Hero: A Main Man Tribute to David Bowie del 2007 e A Tribute to the Madmen del 2017, dai quali in effetti ho estratto alcune interessanti reinterpretazioni per l’elenco che segue. C’è inoltre da segnalare l’album Lazarus: Original Cast Recording, che contiene diverse versioni riarrangiate, anche in maniera ardita, di canzoni di Bowie. Si tratta della colonna sonora del musical teatrale Lazarus, messo in scena nel 2015, ma in realtà sotto la direzione dello stesso Bowie: non credo si possa davvero parlare di cover in questo caso…

Menzioni speciali

Proprio nella colonna sonora di quel musical, troviamo però un’interpretazione di Changes da parte di Cristin Miloti cha vale davvero la pena di ascoltare per quanto è diversa dall’originale. Nel 2018, invece, Max Lorentz ha pubblicato un intero album dedicato alle reinterpretazioni dei brani del Duca Bianco, intitolato Shiningstar: in particolare, vi consiglio l’ascolto della sorprendente Absolute Beginners. Heroes è probabilmente la canzone di Bowie più reinterpretata in assoluto.

Le versioni dei King Crimson, del 2000, e di Scott Bradlee’s Postmodern Jukebox con Nicole Atkins, del 2016, meritano assolutamente una menzione speciale. Anche la versione del 2008 di Juliette Lewis di This is not America e quella del 2006 dei Dresden Dolls di Life on Mars? sono assolutamente degne di nota. Interessanti sono pure la cover dei Melvins del 2013 di Station to Station e quella del 2018 di Bernhardt Eder di Rock’n’roll Star. Memory of a Free Festival, brano certamente tra i più particolari di Bowie, ha trovato una riuscitissima reinterpretazione in chiave free jazz nella versione dei Lisbon Improvisation Players nel loro Live at LX Meskla del 2002.

In considerazione dell’importanza del personaggio e dell’incredibile quantità di tributi, anche da parte di artisti di fama mondiale, penso che sia utile una carrellata, per quanto non esaustiva, dei principali artisti che hanno omaggiato David Bowie negli anni. Di Fame, ad esempio, possiamo ascoltare versioni piuttosto interessanti dei Duran Duran (1981), degli Eurythmics (2005) e di Scott Weiland (2008). Space Oddity è stata rivisitata innumerevoli volte: da Peter Murphy nel 2009, dai Tangerine Dream nel 2010, dagli Smashing Pumpkins nel 2013, addirittura da Steven Wilson nel 2016.

Stesso discorso per Heroes, di cui possiamo ricordare la versione di Blondie dal vivo nel 1979, quella degli Oasis del 1997, dei Motorhead nel 2017, stesso anno in cui il brano è stato ripreso anche dai Depeche Mode. Celeberrima poi è la versione dei Nirvana del 1993 di The Man Who Sold the World, per quanto piuttosto fedele all’originale. I Tears for Fears nel 1992 hanno reinterpretato Ashes to Ashes, mentre i Flaming Lips, nel 1996, hanno pubblicato una cover di Life on Mars?. Fish, nel suo album di cover del 1993, ha reinterpretato, abbastanza fedelmente, Five Years, mentre Midge Ure ha rivisitato Lady Stardust nel 2008.

Piuttosto particolare è la versione strumentale di Peter Frampton di Loving the Alien, pubblicata nel 2021. Suffragette City è stata reinterpretata dai Frankie Goes to Hollywood nel 1986, dai Red Hot Chili Peppers nel 1996, dai Mr. Big nel 1997 e dagli U.K. Subs nel 2018. Del 2021 è la cover di Rock’n’roll Suicide ad opera di Tony Hadley, mentre nel 2007 i Franz Ferdinand hanno rivisitato Sound and Vision, e nel 2009 Joan as a Police Woman ha pubblicato la sua versione di Sweet Thing. Anche i Bauhaus hanno reinterpretato brani di Bowie: del 1982, ad esempio, è la loro versione di Ziggy Stardust.

The Cure, Young Americans

Pubblicato originariamente da David Bowie nel 1975, prima come singolo e poi come traccia di apertura dell’omonimo album Young Americans, questo brano segnò il passaggio dal glam rock alla ricerca di una nuova identità, attraverso uno stile più vicino al soul. La versione dei Cure, registrata nel 1995 per la compilation 104.9 XFM e poi inserita nell’album retrospettivo del 2004 dei Cure Join the Dots: B-Sides & Rarities, si arricchisce invece di molte delle caratteristiche tipiche della band di Robert Smith.

Ingrid James, Fame

Ingrid James è una cantante jazz australiana, qui accompagnata da Todd Harrison e Paul Armstrong per l’album Pangaea the Global Collective del 2010. L’originale di Bowie era la traccia di chiusura del suo nono album Young Americans, dove John Lennon compariva alle seconde voci e alla chitarra ritmica. Tra le cover ardite di Fame, vale la pena ricordare anche quella degli Stickfigure, contenuta nella compilation Hero: A Main Man Tribute to David Bowie del 2007. La reinterpretazione di Ingrid James non è solo una rivisitazione in chiave jazz, ma una vera e propria trasposizione del brano in un territorio alieno, nel quale però si inserisce con estrema naturalezza.

Paolo Fresu, Rebel Rebel

È interessante notare il grande interesse mostrato in Italia per la figura di David Bowie: moltissimi album tributo, sia compilation che di artisti singoli, provengono dal nostro paese. E ci si trovano anche favolose cover ardite! Come nel caso di questa Rebel Rebel, inserita da Paolo Fresu nel suo album P60LO FR3SU del 2021 e poi nello stesso anno anche in Heroes Expanded (A Tribute to David Bowie).

Altra trasposizione in chiave jazzistica, in un album completamente dedicato alle canzoni di Bowie, questo brano vede la partecipazione anche di Petra Magoni alla voce, Francesco Diodati alla chitarra, Francesco Ponticelli al basso, Gianluca Petrella al trombone e alle tastiere e Christian Meyer alla batteria. La versione originale di Bowie era contenuta nell’album Diamond Dogs del 1974. Segnalo anche altre due versioni degne di nota: quella di Rickie Lee Jones del 1993, nel suo album Traffic from Paradise, e quella di Sven Ratzke del 2015, contenuta nel suo album tributo a Bowie Starman.

Flying Pickets, Space Oddity

Space Oddity, traccia di apertura e title track dell’album del 1969 di David Bowie, vanta una grande quantità di reinterpretazioni. Vale la pena ricordarne qui alcune degne di nota. Del 2002 è la cover registrata da Arjen Lucassen’s Star One, con Dave Brock degli Hawkwind alla chitarra, pubblicata come bonus track dell’album Space Metal. Nuovamernte in chiave jazz, troviamo la versione di Federica Zammarchi pubblicata in Jazz Oddity del 2011. Del 1970 è invece la cover dei Giganti, con il titolo Corri, uomo corri.

Infine, c’è l’arrangiamento strumentale ideato da Ramin Djawadi per la colonna sonora di Westworld nel 2020. Ma la versione dei Flying Pickets, contenuta nell’album Live del 1985, è decisamente la più ardita. I Flying Pickets sono una band completamente vocale che esegue solo brani a cappella: qui riescono a rendere anomalo, ma allo stesso tempo divertente, il classico di Bowie.

OAK, The Man Who Sold the World

Torniamo a parlare di Italia, con questo brano tratto dalla bellissima compilation A Tribute to the Madmen pubblicata dalla Black Widow Records e dedicata ai due principali artefici del glam rock: David Bowie e Marc Bolan. Ogni band coinvolta in questa produzione esegue un’interpretazione di un brano per ciascuno dei due eroi del glam. Qui gli OAK (Oscillazioni Alkemico Kreative) di Jerry Cutillo ci regalano una versione molto lontana dall’originale, ma di grande livello. L’originale di Bowie era la title track dell’album del 1970. Altra cover che mi sento in dovere di segnalarvi qui è quella degli Here & Now, contenuta nel loro album Fantasy Shift del 1983.

Peter Gabriel, Heroes

Heroes è probabilmente il brano più famoso di David Bowie, e quello che vanta più rivisitazioni in assoluto. Davvero non si contano gli artisti che ne hanno fatto una cover, dal vivo o pubblicata su un album. Title track dell’album del 1977 di David Bowie, Heroes è stata arrangiata con la collaborazione di Brian Eno e registrata con la partecipazione di Robert Fripp. Tra le cover ardite degne di menzione ci sono quella di Silvia Cesana and the Band, contenuta nella solita compilation A Tribute to the Madmen, e quella in chiave jazz di Matthew Tavares, contenuta nel tributo Modern Love del 2021. La versione orchestrale di Peter Gabriel è tratta da Scratch my Back, album di cover pubblicato da Gabriel nel 2010. Qui l’atmosfera è molto diversa dal brano originale: un’interpretazione che si può ben definire ardita e che è stata anche utilizzata nella colonna sonora di Stranger Things.

ELOHIM, Let’s Dance

Ancora una cover tratta da A Tribute to the Madmen, inclusa poi anche nell’album Night Safari Issue 3 pubblicato dagli ELOHIM nel 2018. Si tratta di una versione tanto ardita quanto meravigliosa da parte di una band piuttosto misteriosa. L’originale di Bowie, title track dell’album del 1983, vedeva Stevie Ray Vaughan alla chitarra solista e Omar Hakim alla batteria.

Joe Jackson, Scary Monsters

Title track dell’album di Bowie del 1980, Scary Monsters (and Super Creeps) vedeva nella versione originale ancora la partecipazione di Robert Fripp. Joe Jackson l’ha eseguita spesso dal vivo, in un arrangiamento che spesso si discostava dall’originale solo in piccoli ma decisivi particolari. La versione pubblicata nel 2011 nell’album Live Music – Europe 2010 propone un arrangiamento decisamente particolare, senza chitarre, ma con solo piano, synth, basso e batteria.

Il segno del comando, Ashes to Ashes

Ancora un brano dall’album Scary Monsters (and Super Creeps) di David Bowie, brano che costituiva idealmente il seguito di Space Oddity, essendo nuovamente incentrata sulle vicende del Maggiore Tom. Tra le molte cover che se ne possono trovare, vi segnalo quella eseguita nel 2013 dagli A Perfect Circle. Ma, a mio modo di vedere, la reinterpretazione più ardita di Ashes to Ashes la troviamo ancora una volta nella compilation A Tribute to the Madmen, ad opera della band prog genovese Il segno del comando.

Emilia Jones, Starman

Tratta dalla colonna sonora del film CODA del 2021, questa versione a cappella vede l’attrice britannica Emilia Jones in un’interessantissima interpretazione insieme all’attore e musicista irlandese Ferdia Walsh-Peelo. L’originale di Bowie è del 1972, inclusa nell’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Merita una menzione anche la cover dei Mimes of Wine, pubblicata nell’album tributo Repetition Bowie, Mindfinger’s Tribute to David Bowie del 2007.

Paul Young, The Jean Genie

Per concludere, ancora un grande nome alle prese con una cover di David Bowie. Paul Young ha incluso la sua ardita versione di The Jean Genie nell’album Rock Swings del 2006, un album interamente di cover. L’originale di Bowie è del 1973, contenuto nell’album Aladdin Sane. Di questo brano è famosa anche la cover dei Bauhaus, ma ancora più interessante la reinterpretazione dei Dandy Warhols, pubblicata nel loro The Black Album del 2004.

 

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Published by
Roberto Cruciani