Proseguendo la serie delle cover version più audaci dei grandi artisti internazionali, oggi sono andato per voi a caccia delle cover più ardite di Elton John. Impresa, devo dire, non facile. Se è vero, infatti, che Elton John vanta numerose reinterpretazioni di gran parte del proprio repertorio, è anche vero però che molto spesso si tratta di versioni che non si discostano un gran che dagli originali. D’altra parte, lo stile compositivo del baronetto rende spesso difficile inventare soluzioni che si distanziano da quelle utilizzate nelle prime registrazioni dei brani.
Le melodie sono articolate e molto caratterizzanti, appoggiate su un tessuto narrativo di accordi e struttura dei brani che si svolge appunto come un racconto, una messa in scena che fa tesoro della lezione del glam rock: alterare in maniera troppo ardita uno di questi elementi può far crollare facilmente tutti gli equilibri che tengono insieme i brani. È pur vero che la sterminata produzione di Elton John propone canzoni molto diverse tra loro, sia per atmosfera che per genere. Alcune quindi si prestano più facilmente ad essere rielaborate in maniera creativa, mentre altre si prestano a interpretazioni di artisti legati a un particolare genere.
Insieme al paroliere Bernie Taupin, Elton John ha prodotto un repertorio estremamente vasto e ricco di grandi successi. Di conseguenza non stupisce che nel corso degli anni molti artisti si siano cimentati con le cover dei suoi brani, alcune incluse in ben tre compilation di tributo all’artista: Two Rooms: Celebrating the Songs of Elton John & Bernie Taupin del 1991, Revamp: The Songs of Elton John & Bernie Taupin del 2018 e Restoration: Reimagining the Songs of Elton John and Bernie Taupin, sempre del 2018.
C’è da dire che le prime due compilation sono state in realtà volute e ideate dagli stessi Elton John e Bernie Taupin. Tanto che in alcuni casi compare lo stesso Elton John a duettare con l’artista di turno incaricato della cover. Ciò nonostante, contengono alcune interessantissime reinterpretazioni. D’altra parte, è ben nota la grande disponibilità di Elton John a duettare e collaborare con altri artisti: quante volte possiamo dire di averlo visto spuntare come special guest in situazioni inattese? E ha anche scritto molti brani per altri artisti famosi.
Fin dal 1978 Frank Sinatra eseguì dal vivo Remember, canzone scritta appositamente per lui. Non la pubblicò però ufficialmente e il brano rimase inedito, pensate, fino alla registrazione del 1981 di Donatella Rettore in Estasi clamorosa. La stessa Rettore pubblicò nel 1983 un brano che Elton John sembra abbia scritto per lei, Sweetheart on Parade, contenuto in Far West, album della Rettore del 1983.
Una caratteristica peculiare dell’elenco che segue è che contiene quasi esclusivamente grandi nomi, artisti di fama internazionale che, in questo caso, si sono avventurati oltre la semplice riproposta di brani celebri di altri musicisti, reinventandoli invece con un tocco personale e distintivo. Certo, non mancano le eccezioni. I Dream Theater, ad esempio, hanno rivisitato nel loro album A Change of Seasons del 1995 Funeral for a Friend/Love Lies Bleeding, brano originariamente contenuto in Goodbye Yelow Brick Road del 1973. E lo stesso brano è stato ripreso nel 2024 dai Metallica. In entrambi i casi, si tratta di esecuzioni molto fedeli all’originale, che d’altra parte è già una suite progressive difficile da cambiare profondamente.
Stessa situazione troviamo in Have Mercy on the Criminal, contenuta originariamente in Don’t Shoot Me I’m Only the Piano Player del 1973, e ripresa dai Gov’t Mule nel 2019: il carattere blues è già presente nella versione originale, quindi la cover non fa altro che enfatizzarlo leggermente, senza discostarsi dall’arrangiamento originale. Nelle compilation menzionate sopra, troviamo poi i Queens of the Stone Age alle prese con Goodbye Yellow Brick Road e i Florence and the Machine che riprendono Tiny Dancer: in entrambi i casi, però, a dispetto di ciò che ci si aspetterebbe, si tratta di cover molto fedeli. Tiny Dancer è stata utilizzata dai Red Hot Chili Peppers e da John Frusciante dal vivo in più occasioni, ma spesso solo in maniera frammentaria.
Tra le canzoni più frequentemente riprese di Elton John troviamo The Bitch is Back, la cui versione di Tina Turner del 1979 merita indubbiamente una menzione speciale. Lo stesso brano è stato ripreso fra gli altri da Vince Neil, cantante dei Motley Crue, nel suo album Tattoos and Tequila del 2010. Sia i Toto che Phil Collins si sono cimentati con una versione di Burn Down the Mission, senza però riuscire ad andare oltre la struttura originaria del brano, che ad essere onesti era già piuttosto articolato e quindi difficile da modificare in maniera significativa. Altro brano che conta diverse cover è Monna Lisas and Mad Hatters.
Si tratta sempre di cover aderenti all’originale, anche nel caso delle Heart, che però nel loro Alive in Seattle del 2003 riescono perlomeno a dare l’idea di aver provato a inserire elementi nuovi negli arpeggi di chitarre e nelle armonizzazioni delle voci. Diverse sono anche le versioni di Crocodile Rock, da quella dei Beach Boys a quella di Little Tony: anche qui, però, si tratta di calchi perfetti dell’arrangiamento originale. Ma in questa sezione di menzioni speciali, un posto di riguardo spetta a due interpretazioni di Your Song, quella di Billy Paul del 1972 e quella di Ellie Goulding del 2010. La cover di Billy Paul è contenuta in 360 Degrees of Billy Paul, album che contiene anche la sua hit più famosa Me and Mrs Jones.
Si tratta di una versione soul, tra funky e disco, leggermente più veloce e con variazioni sostanziali nel ritornello. L’artista reinterpreta anche il testo, forse scadendo un po’ nel ridicolo… La versione di Ellie Goulding invece era inclusa nel suo album di esordio Lights e divenne subito molto famosa nel Regno Unito: qui le variazioni sono però troppo sottili per apparire in una lista di cover “ardite”… Da non dimenticare poi la versione dance elettronica sempre di Your Song di Olivia del 1993: decisamente troppo kitsch per i miei gusti! E dello stesso tenore è la cover di Don’t Go Breaking My Heart realizzata da Q-Tip e Demi Lovato nel 2018 per il tributo Revamp… Sicuramente è una cover ardita, ma quanto a gusto…
La versione di Lee Ann Womack di Honky Cat, realizzata per l’altro album tributo Restoration…, è decisamente più country e vale forse la pena andarla a riscoprire. Infine vi segnalo una versione bluegrass di Please, realizzata da Rhonda Vincent insieme a Dolly Parton ancora per il tributo Restoration… La formula della reinterpretazione in chiave bluegrass funziona sempre, ma questa volta ho preferito proporvi qualcosa di diverso.
Questo grande classico di Elton John vanta diverse famose reinterpretazioni, a partire da quella degli Who. Anche i Queen la utilizzarono nei loro show live, ma concentrandosi solo sul ritornello, ripetuto a oltranza a legare una sorta di medley di brani celebri. Interessante è anche la versione ska di Tim Timebomb and Friends, band guidata da Tim Armstrong, frontman dei Rancind. Ma la reinterpretazione in chiave metal dei Flotsam and Jetsam è secondo me la più ardita e riuscita. Contenuta in No Place for Disgrace, album del 1988, è caratterizzata da immancabili chitarroni, ritmo serrato, ma anche da un’interpretazione vocale interessante.
Questa versione di Rocket Man da parte di Kate Bush merita a mio parere la palma di cover più ardita e più riuscita fra tutte le cover di Elton John. Pubblicata nel tributo del 1991 Two Rooms: Celebrating the Songs of Elton John & Bernie Taupin, sposta le atmosfere in ambiti reggae e caraibici, mescolati però con la presenza di organetti, ukulele e cornamuse, e modifica l’intera struttura del brano modificando i pesi delle varie sezioni… una reinterpretazione geniale e gradevole da ascoltare. Dello stesso brano, esiste una versione di Slah & Myles Kennedy & the Conspirators che fa da colonna sonora a Stuntman, un documentario su uno stuntman di Hollywood, una versione bluegrass di Iron Horse & The Lil Smokies, e una bella versione psichedelica e un po’ pinkfloydiana dei Vintage Trouble.
Altro grande brano che vanta diverse interpretazioni celebri, come quella di Roger Daltrey degli Who inserita nella colonna sonora del film Ragazzi perduti del 1987. Interessante anche l’interpretazione dei Me First and the Gimme Gimmes, pubblicata nel 2008 nell’album Have Another Ball: la band rivista i grandi classici del rock in chiave post punk. Ma forse la più celebre reinterpretazione di Don’t Let the Sun Go Down on Me è quella di Joe Cocker, pubblicata nel 1991 in Night Calls: una versione in cui Joe Cocker esegue il brano come se fosse suo, adattandolo magistralmente ai propri stilemi musicali.
Contenuta in Fill Your Boots del 1990, questa cover dei Leatherface è tutto quello che non ti aspetteresti. Prendete un brano lento, nostalgico, romantico, dedicato a una delle personalità più amate dai britannici, Lady D, e mettetelo in mano a questi dissacratori. Ed ecco che avrete una Candle in the Wind dal sapore punk, più veloce, sfacciata e… conclusa con grugniti di maiali! Nel 1991, anche Kate Bush aveva rivisitato questo brano per l’album tributo Two Rooms… ma come competere con la sublime dissacrazione dei Leatherface?
Contenuta originariamente nell’album Sleeping with the Past del 1989, Sacrifice fu reinterpretata da Sinead O’ Connor per l’album tributo Two Rooms: Celebrating the Songs of Elton John & Bernie Taupin, pubblicato solo due anni dopo. L’interpretazione di Sinead O’ Connor è, come al solito, talmente intensa e curata nei minimi dettagli, che se non sapessimo che si tratta di una cover potremmo benissimo pensare che la canzone l’abbia scritta lei.
Ancora un altro grande nome per una rivisitazione di un brano già frequentato anche da altri grandi nomi. Nel 1971, solo un anno dopo la pubblicazione originaria di Border Song nell’album Elton John, Aretha Franklin ne pubblicò una cover nel suo album Spanish Harlem. Nella sua versione vengono esaltati gli elementi soul e rhythm’n’blues. In seguito Aretha Franklin eseguì il brano anche in duetto con lo stesso Elton John. La versione di Eric Clapton, realizzata per l’album Two Rooms… del 1991, vira ancora più schiettamente verso ambiti blues, in un’interpretazione di classe e molto diversa dall’originale.
Ancora un brano proveniente dall’album del 1970 di Elton John. E ancora una cover pubblicata solo un anno dopo, nell’album Another Dimension di Bo Diddley. Qui lo sciamano del rock’n’roll inserisce degli stacchi con effetti quasi dub e interpreta il movimento ritmico del brano con un basso più in stile motown, un po’ alla James Jamerson come dicono oggi quelli bravi…
Questa versione di Daniel, brano originariamente inciso da Elton John nel 1973, è inclusa nell’album The Brave and the Bold del 2006. In questo album i Tortoise, band post-rock che utilizza molta elettronica e dub, collabora con Will Oldham, cantautore e attore che dal 1998 ha adottato il soprannome di Bonnie Prince Billy.
In ambito italiano, la produzione di Elton John ha avuto molta fortuna, e vanta diverse reinterpretazioni, oltre al caso citato della Rettore. Fra le più interessanti, troviamo I Nomadi, che hanno rivisitato ben tre canzoni di Elton John: Stagioni (adattamento di Seasons) e Bad Side of the Moon oltre ad Ala bianca (adattamento di Sixty Years On). Questa cover venne pubblicata dai Nomadi nel 1970, nello stesso anno della pubblicazione di Elton John, e poi nuovamente nel live Sempre Nomadi del 1981, da cui è tratto il video. Qui l’arpeggio di chitarra viene trasposto al piano, caso più unico che raro negli arrangiamenti da canzoni di Elton John. Inoltre, il brano è interpretato in chiave progressive rock, con ripartenze decisamente rock al posto degli archi dell’arrangiamento originario.
E per concludere ho deciso di… stupirvi! Sì, perché tra le tante cover di questo celebre brano di Elton John, pubblicata originariamente nel 1976, ho scelto per questo elenco quella di Ornella Vanoni. Sorry Seems to be the Hardest Word era già stata reinterpretata da Ray Charles e Frank Sinatra, con piccoli cambiamenti secondari rispetto all’originale, e più recentemente da Diana Krall nel suo album Wallflower del 2015. Questa versione della Vanoni, inclusa nell’album Argilla del 1997, vede un arrangiamento jazz che riprende in parte l’interpretazione precedente di Mina, ma qui sono presenti un organetto e soprattutto Paolo Fresu alla tromba.
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