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Le cover più ardite di Prince: The Jesus and Mary Chain, Marcus Miller, Steven Wilson…

Le canzoni scritte da Prince sono in genere molto particolari e arrangiate in maniere che spesso si possono già definire ardite. È possibile crearne delle versioni sorprendentemente diverse, senza snaturarle in maniera disastrosa? Seguitemi in questo viaggio alla ricerca delle cover più ardite di Prince per scoprirlo. Prince è universalmente considerato un artista estremamente dotato, in grado di interpretare il funky senza porsi barriere di generi musicali, di caratterizzare un’intera epoca musicale e di ispirare tantissimi altri musicisti. Era anche un lavoratore infaticabile. Mi è stato raccontato che spesso dopo i concerti organizzava degli after party, in cui sostanzialmente suonava un altro concerto, prima di lasciare gli invitati a festeggiare per ritirarsi nel suo studio mobile a lavorare su registrazioni e arrangiamenti. Era un personaggio estremamente provocatorio, negli atteggiamenti, nelle musiche e nei testi, che spesso mettevano in luce le ipocrisie della società senza mezzi termini.

La sua Darling Nikki, ad esempio, pare sia stata alla base della fondazione della celebre associazione di censura americana Parents Music Resource Center, responsabile dei noti adesivi Parental Advisory che dalla metà degli anni Ottanta hanno deturpato tante copertine di album rock. Il testo, per la cronaca, parla di masturbazione femminile: chissà se avrebbe avuto lo stesso effetto parlando di masturbazione maschile? Nelle sue tante band e reincarnazioni, Prince era quasi sempre accompagnato da talentuose musiciste donne: la batterista Sheila E e la bassista Rhonda Smith, ad esempio, devono in parte anche a lui il successo e il riconoscimento che hanno conquistato. Di fronte a un musicista che ha avuto un così grande impatto su tutta la società, non è difficile immaginare che i tributi spuntino come funghi.

Moltissimi sono gli artisti internazionali che hanno omaggiato Prince perlomeno con una cover. Qualcuno ha anche dedicato interi album alle reinterpretazioni delle sue canzoni. Tra questi, particolarmente interessante è l’album di Susan Voelz, Beautiful Life, pubblicato nel 2016 e ricco di interpretazioni piuttosto ardite di brani di Prince. Fra le compilation tributo, vi segnalo invece Punksexy: A Las Vegas Punk Rock Tribute to Prince, sempre del 2016, e soprattutto Shockadelica – 50th Anniversary Tribute to the Artist Known as Prince, del 2008, una vera miniera di cover ardite.

Menzioni d’onore

Alcune cover di Prince sono probabilmente più famose delle versioni originali. Ovviamente penso a Nothing Compares 2 U nella versione di Sinead O’ Connor, ma anche a Manic Monday, brano che Prince aveva inciso nel 1984, ma che non era rientrato nell’album della sua band Apollonia 6. Due anni dopo, lo stesso Prince offrì il brano alle Bangles per il loro secondo album Different Light. C’è poi il caso di When You Were Mine, pubblicata da Prince nel suo album Dirty Mind del 1980 e reinterpretata da Cyndi Lauper nel suo album di debutto She’s So Unusual del 1983. Ancora, I Feel for You, brano pubblicato da Prince nel suo album eponimo del 1979, venne ripreso da Chaka Khan nel 1983 nell’album intitolato appunto I Feel for You. Ma ci sono altre cover degne di nota, sempre secondo i parametri di cover ardite, che non hanno trovato spazio nell’elenco che segue.

Cream, ad esempio, che Graham Parker & the Figgs hanno reinterpretato dal vivo e incluso in The Last Rock’n’Roll Tour del 1997. Darling Nikki, divenuta un inno contro gli atteggiamenti bigotti e ipocriti della società, è stata rivisitata dai Foo Fighters nel 2003 come B-side del singolo Have It All e poi inclusa nell’album Medium Rare del 2011. Ma ne esiste anche una divertente versione di Richard Cheese, inserita nell’album Numbers of the Beast del 2020: se avete tempo, andatevi a cercare la versione live in rete! Anche Little Red Corvette vanta due interessanti rivisitazioni. La prima è degli Hindu Love Gods, band capitanata da Warren Zevon e composta sostanzialmente dai musicisti dei R.E.M., che l’hanno pubblicata nel loro album eponimo del 1990. L’altra, decisamente divertente, è stata realizzata dai Big Daddy e pubblicata nell’album Cruisin’ Through the Rhino Years del 2013. I Simple Minds, nel loro album del 2019 Live in the City of Angels, hanno reinterpretato The Cross, ma in questo caso il risultato è un po’ meno “ardito”.

Tornando invece a When You Were Mine, vi segnalo una versione country contenuta in Reservoir Songs, album del 2002 dei Crooked Fingers. Per concludere, un paio di piccole perle. Un’altra cover che vede coinvolta Sinead O’ Connor, questa volta come vocalist nella versione reggae di I Would Die 4 U, è stata registrata dai Radio Riddler per la compilation tributo Purple Reggae del 2014. Della stessa I Would Die 4 U esiste anche una versione dei Mariachi El Bronx, pubblicata nell’album Musica Muerta, Vol. 2 del 2020: potete immaginare dal nome della band quanto possa essere “ardita”! La versione di Let’s Go Crazy dei Good Clean Fun è stata invece pubblicata come singolo nel 1999 e poi inserita nella compilation Crouching Tiger, Moshing Panda del 2006. Sono certo che molti di voi conosceranno bene cinque o sei brani di Prince, ma pochi avranno familiarità con gli altri oltre cento scritti da questo prolifico musicista. Vi invito quindi ad andare a riascoltare anche le versioni originali delle canzoni che vi propongo di seguito, per apprezzarne meglio l’arditezza.

The Jesus and Mary Chain, Alphabet Street

Seconda traccia dell’album Lovesexy, pubblicato nel 1988 da Prince, Alphabet Street è un brano piuttosto famoso. Gli scozzesi Jesus and Mary Chain includono la loro versione fra le quattro tracce che compongono il cd del singolo Come On, estratto dall’album Stoned and Dethroned del 1994. Nella loro cover la distorsione la fa da padrona, nelle chitarre come nella voce, sostenute da un ritmica rumoristica: una versione rock, quasi stone rock, che esalta aspetti meno evidenti nell’originale.

Big Daddy, Nothing Compares 2 U

Nothing Compares 2 U è un brano scritto da Prince per la sua band Family e incluso nel loro unico album The Family del 1985. Ma per almeno cinque anni questo brano rimase piuttosto trascurato dalla critica e dagli ascoltatori, finché non arrivò nel 1990 la spettacolare e già abbastanza ardita versione di Sinead O’Connor che tutti conosciamo. Una versione talmente famosa da diventare più conosciuta dell’originale di Prince. Ma riuscite a immaginare la stessa canzone accelerata, ritmata ed eseguita in stile rock’n’roll? È quello che hanno fatto i Big Daddy, una band di doppiatori americani nata per fare parodie di canzoni famose. La loro interpretazione decisamente ardita è inclusa nell’album Cutting Their Own Groove del 1991, e in qualche modo forse ha dato lo spunto anche alla successiva reinterpretazione jazzata di Aretha Franklin del 2014.

Arto Lindsay, Erotic City

Pubblicata originariamente da Prince come lato B del singolo Let’s Go Crazy del 1984, Erotic City è stata ispirata, nelle parole dello stesso Prince, dai Funkadelic. E proprio George Clinton con i suoi Funkadelic ne ha realizzato una interessante cover nel 1994. Ma una versione ancora più ardita è stata registrata nel 1996 da Arto Lindsay per il suo album Mundo Civilizado. Arto Lindsay è uno sperimentatore estremo, vicino al punk come al free jazz, uno dei principali esponenti della no wave con i suoi DNA alla fine degli anni Settanta.

Marcus Miller, Girls & Boys

Girls & Boys fu pubblicata da Prince con i suoi Revolution nell’album Parade del 1986, colonna sonora del film Under the Cherry Moon diretto dallo stesso Prince. Marcus Miller si era già trovato a interpretarla sul palco del Live Aid del 1985 insieme a Brian Ferry e David Gilmour. Ma la sua versione del 2005, inclusa nell’album Silver Rain, è decisamente una cover ardita e molto ben riuscita.

Goo Goo Dolls, I Could Never Take the Place of your Man

I Could Never Take the Place of your Man è un brano incluso nell’album Sing O’ the Times, pubblicato da Prince nel 1987. Solo tre anni dopo l’uscita dell’originale, i Goo Goo Dolls ne registrarono una loro versione, decisamente più rock, includendola nell’album Hold Me Up del 1990. Una cover ardita, che è stata di ispirazione per molte versioni successive, ma ascoltatela fino alla coda finale.

The Flying Pickets, I Feel for You

I Feel for You è uno dei primi brani scritti da Prince, pubblicato originariamente nel suo secondo album Prince del 1979. È stato ripreso più volte da diversi musicisti, fra cui ovviamente Chaka Khan, la cui versione del 1984 è forse più famosa dell’originale. Ma raramente questi sforzi hanno prodotto una cover che definirei ardita. Quando però a metterci mano sono i Flying Pickets, le cose cambiano radicalmente. I Flying Pickets sono una band vocale, che esegue tutti i brani a cappella, con le sole voci. Hanno interpretato anche altri brani di Prince, sempre creando cover ardite, come in Purple Rain e in When the Doves Cry. La loro versione di I Feel for You è contenuta nell’album Blue Money del 1991.

Scary Pockets, Purple Rain

Purple Rain è la title track dell’album di Prince and the Revolution del 1984. È una ballata arcinota, che vanta una quantità infinita di interpretazioni, molto spesso piuttosto fedeli all’originale. Tra le più interessanti, vi segnalo quella dal vivo dei Waterboys inclusa in The Live Adventures of a Waterboy del 1988, quella reggae dei Conquerors e quella ardita dei Big Daddy inclusa nell’album Meanwhile… Back in the States del 1985. Ma la versione ardita che ho scelto per voi è quella realizzata dagli Scary Pockets. Gli Scary Pockets sono un progetto di musicisti che reinterpretano brani famosi in chiave funky, spesso con ospiti di eccezione. Hanno messo più volte mano a brani di Prince e, nonostante non ce lo aspetteremmo da una band funky come le canzoni in questione, i risultati sono sempre stati arditi e interessanti. Vi consiglio di andarvi ad ascoltare anche le loro versioni di Kiss e di How Come U Don’t Call Me Anymore, con la partecipazione di Joe Bonamassa. Nel frattempo, accontentatevi di questa ardita cover, pubblicata come singolo nel 2021.

Joan As Police Woman, Kiss

Inclusa nell’album Parade del 1986 di Prince and the Revolution, Kiss è indubbiamente una delle canzoni più famose di Prince. Ne esistono infatti diverse cover, alcune anche piuttosto ardite: dalla famosissima versione degli Art of Noise con Tom Jones del 1988 a quella degli Scary Pockets, fino ad una interpretazione addirittura ad opera di Popa Chubby. La cover registrata da Joan As Police Woman per l’album Joanthology del 2019, secondo me, è la più distante dall’originale, quindi vince il mio personale premio di cover più ardita.

Steven Wilson, Sign O’ the Times

Sing O’ the Times è uno dei brani più famosi di Prince, pubblicato nell’album Prince del 1987. È uno di quei brani di cui non ci si aspetterebbe di poter trovare cover ardite, e invece… Nel 1989 i Simple Minds ne registrarono una versione abbastanza interessante. Ma già nel 1987, subito dopo l’uscita dell’originale, Billy Cobham ne aveva pubblicato una versione strumentale nel suo album Picture This. Più interessanti e ardite sono la versione di Nina Simone inclusa in A Single Woman del 1993 e quella a cappella degli Slixs del 2013. Ma qui vi propongo un connubio che non vi aspettereste: una cover di Steven Wilson con un assolo psichedelico che dà al brano una dimensione totalmente nuova. La versione in studio è inclusa nell’album Cover Version del 2014, ma nel video vi propongo un’esecuzione live in India di pochi anni dopo.

The DejaBlue Grass Band, When the Doves Cry

When the Doves Cry è un altro famoso brano di Prince, incluso nell’album Purple Rain del 1984 e rivisitato da molti artisti. Tra le tante cover più o meno ardite, vi segnalo quella di Patti Smith del 2002, quella dei Gov’t Mule del 2003 e quella più rock dei canadesi Barenaked Ladies, registrata dal vivo nel 1991. Ma provate a immaginare cosa potrebbe averne fatto una band bluegrass. Ecco, ora siete pronti per ascoltare la versione dei DejaBlue Grass Band, contenuta nell’album Bucket Full of Rain del 2008.

 

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Published by
Roberto Cruciani