Le balene giocano un ruolo fondamentale negli ecosistemi marini, essendo una componente essenziale della biodiversità oceanica. Non avendo praticamente predatori naturali a causa delle loro dimensioni enormi, queste creature sembrano essere al sicuro dalle minacce tipiche del mondo animale. Tuttavia, anche per loro esistono gravi pericoli, molti dei quali sono causati direttamente dall’attività umana. Inquinamento, cambiamenti climatici e pesca eccessiva sono solo alcune delle sfide che le balene devono affrontare. Ma, forse, il pericolo più grave per questi giganti del mare è rappresentato dalle navi da carico, sempre più numerose e presenti in tutte le rotte commerciali globali. Ogni anno, migliaia di balene perdono la vita a causa delle collisioni con queste enormi imbarcazioni.
Le collisioni tra balene e navi sono spesso difficili da rilevare e da quantificare, poiché le carcasse delle balene scompaiono rapidamente nelle profondità oceaniche, spesso senza che le navi stesse se ne accorgano. Sebbene il problema sia noto, la difficoltà sta nel monitorare e capire l’entità del danno. Le balene, che migrano per lunghe distanze attraverso gli oceani, si trovano inevitabilmente a condividere le stesse rotte con le navi mercantili, che trasportano circa il 90% delle merci a livello globale.
Recentemente, un grande studio coordinato dall’Università di Washington e supportato dall’italiana Tethys Onlus ha fatto luce su questa problematica. La ricerca ha prodotto una mappa dettagliata che evidenzia le aree a rischio di collisione tra navi e balene. Lo studio ha coinvolto esperti da cinque continenti, che hanno analizzato oltre 435.000 avvistamenti di balene, provenienti da monitoraggi ufficiali, segnalazioni del pubblico e studi di marcatura satellitare. L’incrocio di questi dati con i percorsi di circa 176.000 navi mercantili, tracciati dal 2017 al 2022, ha rivelato una sovrapposizione impressionante tra le aree abitate dalle balene e le rotte marittime globali. In effetti, gli areali di quattro delle specie più minacciate – balenottera azzurra, balenottera comune, megattera e capodoglio – si sovrappongono per il 92% con le principali rotte del traffico navale.
Lo studio ha identificato numerose zone geografiche ad alto rischio, tra cui il Mediterraneo, le coste della Pacifico Nord-Americano, Panama, il Mar Arabico, Sri Lanka, le Canarie, nonché alcune regioni meno conosciute ma altrettanto pericolose come le coste dell’Africa meridionale, Brasile, Cile, Perù, Ecuador, Azzorre, e le coste di Cina, Giappone e Corea del Sud. Queste aree sono frequentate sia dalle balene sia dalle navi, creando una situazione di rischio costante per questi cetacei.
Nonostante il rischio, le soluzioni per ridurre il numero di collisioni tra navi e balene sono relativamente semplici. Gli autori dello studio suggeriscono misure di protezione come il rallentamento delle navi nelle zone a rischio, che potrebbe ridurre significativamente il pericolo. Inoltre, lo spostamento delle rotte marittime più trafficate verso acque più profonde, lontano dalle aree abitate dalle balene, potrebbe rappresentare un’altra soluzione. Tuttavia, tali misure sono state implementate in modo limitato, solo in alcune zone del mondo, come la costa pacifica del Nord America e il Mediterraneo. Queste iniziative coprono soltanto il 7% delle zone ad alto rischio, e persino meno nelle aree specifiche della balenottera azzurra e della megattera.
Paradossalmente, molte delle aree più pericolose per le balene si trovano all’interno di riserve marine protette, create principalmente per combattere la pesca illegale e l’inquinamento industriale. Tuttavia, queste aree protette non prevedono limiti di velocità per le navi, lasciando vulnerabili le specie a collisioni fatali. Come sottolineato dalla ricercatrice Anna Nisi dell’Università di Washington, introdurre limiti di velocità e altre regolamentazioni contribuirebbe non solo a ridurre il rischio per le balene, ma anche a ottenere benefici ambientali aggiuntivi, come la riduzione dell’inquinamento acustico, delle emissioni di gas serra e il miglioramento della qualità dell’aria.
Secondo lo studio, coprendo solo un ulteriore 2,6% degli oceani con misure di protezione come i limiti di velocità, si potrebbero proteggere tutte le aree a maggior rischio di collisione. Fortunatamente, la maggior parte delle zone di rischio si trova lungo le coste, all’interno delle zone economiche esclusive nazionali, il che consente a ciascun paese di prendere provvedimenti concreti in collaborazione con l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) delle Nazioni Unite. Sebbene solitamente la collaborazione tra industria e conservazione sia difficile, questo caso offre un’opportunità concreta di fare la differenza senza gravi costi per l’industria marittima, beneficiando al contempo la protezione delle balene e dell’ambiente marino.
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