Un tuffo nel romanticismo letterario più autentico, fors’anche il più librescamente appreso, attraverso la rievocazione appassionata, sebbene non sempre affidabile, del tratto finale di due vite esemplari, di due modelli esistenziali.
Parliamo delle memorie, a una trentina di anni di distanza, di Edward John Trelawny focalizzate su “Gli ultimi giorni di Byron e Shelley” (Quodlibet, traduzione di Marcella Majnoni e Giuseppe Lucchesini, pagg. 240, euro 16).
LeggerMente: “Gli ultimi giorni di Byron e Shelley”
Morti parallele, dunque, ma prive di intenzioni pedagogiche plutarchee, raccontate da un autore la cui autobiografia è forse molto più “romantica” e avventurosa rispetto a quella degli amati poeti ritratti. Ammesso nell’esclusivo circolo di inglesi stabilitosi nel 1821 a Pisa, e poi di casa a Villa Magni tra Lerici e San Terenzio sulla costa ligure, Trelawny nella sua vita finirà per assomigliare dal vero al Corsaro immaginato poeticamente da Lord Byron.
Con il quale condividerà la tragica spedizione greca culminata il 19 aprile 1824 con la morte di Byron per febbre a Missolungi, durante il vano e mal organizzato tentativo di supportare la lotta indipendentista della Grecia. Aveva 36 anni. Trelawny non esiterà a “scrivere cose tutt’altro che edificanti sul conto del grande amico” (Mario Praz).
Shelley figlio dei fiori ante litteram
Shelley è invece il suo eroe: ammira incondizionatamente questo figlio dei fiori ante litteram, campione di ateismo e per questo bandito in patria, anarchico e intransigente nella sua purezza angelica, idealista e generoso, nudista e suscitatore seriale di scandali, privo di senso pratico al punto di volersi navigatore senza saper nuotare.
Trelawny ci porta per mano nell’estate del 1822, nei giorni precedenti e successivi alla tempesta fatale al largo delle coste livornesi, che causò il naufragio del battello Don Juan, e al recupero sulla spiaggia di Viareggio dei cadaveri di Shelley (non aveva compiuto 30 anni) e dell’amico Williams, trovati a dieci giorni di distanza l’uno dall’altro.
Il corpo del poeta innalzato sulla pira per la cremazione rituale, le ceneri inviate a Roma, dove riposano nel “Cimitero degli Inglesi” alla Piramide. Il dettaglio pulp del nostro autore che miracolosamente recupera il cuore di Percy Bysshe Shelley per renderlo alla vedova (Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein).
Ma non prima di aver impedito a Byron di tenere per sé il teschio, poiché, una volta a Newstead Abbey, la residenza avita della famiglia Byron, l’aveva visto brindare alzando un cranio conservato nelle segrete dell’ex abbazia trasformata in magione.
.