
LeggerMente, il consiglio letterario di oggi: "I girasoli ciechi", di Alberto Méndez (frame youtibe)
Un girasole cieco è un girasole che ha rinunciato a guardare verso il sole. Ha declinato l’invito della speranza. Uno sconfitto. “Girasoli ciechi” (Sellerio, traduzione di Bruno Arpaia, pagg. 280, euro 15) il magistrale esordio narrativo di un sessantenne, fu un caso editoriale una ventina di anni fa in Spagna.
Al successo – premi, critica, un film – contribuì sfortunatamente la morte dell’autore, Alberto Méndez, nel 2004, giusto qualche mese dopo la pubblicazione del romanzo. La dolorosa rievocazione degli anni immediatamente successivi alla Guerra Civil attraverso quattro vicende, quattro quadri o racconti che tuttavia esauriscono solo parzialmente lo svolgersi degli eventi ciascuno nella sua cornice.
LeggerMente: “I girasoli ciechi”, di Alberto Méndez
Quattro protagonisti, quattro stazioni di una via crucis, dove la sconfitta scandisce lo scorrere della tragedia collettiva.

Sconfitta numero 1: Carlos Alegria, capitano dell’esercito di Franco, il giorno stesso della vittoria, si consegna ai Repubblicani, non vuole restare nella schiera dei vincitori, troppi l’orrrore visto, l’orrore inflitto.
Sconfitta numero 2: due giovani in fuga, un poeta e la ragazza, minorenne. E incinta. Ascesa in montagna, folle romitaggio, una vacca per sopravvivere. Una solitudine che uccide.
Sconfitta numero 3: Juan Senra, detenuto in un carcere franchista, prossimo a tortura e fucilazione, rivela di aver assistito alle ultime ore del figlio del capo dei torturatori, finito davanti a un plotone di esecuzione. Al colonnello dirà tutto quel che vuol sentirsi dire, che il figlio è vissuto e morto con onore.
Sconfitta numero 4: per i repubblicani, Franco trionfante, le alternative erano tre, l’esilio, la conversione al franchismo o la fucilazione. Ricardo Mazo si è finto morto e sopravvive come una talpa dietro a un vecchio armadio.