Donne che odiano le donne? Non esageriamo: nessuno confonderebbe un misantropo con un banale esecratore del suo genere. Alceste, il più celebre di questa angosciata schiatta, non tollera se non l’ipocrisia dei tempi e la viltà dei costumi.
LeggerMente: “Piccoli racconti di misoginia”
Per eccesso di virtù. Per analogia, l’eccesso di talento. Patricia Highsmith, maestra del thriller psicologico, ci consegna 17 acuminati ritratti di donne sulla soglia di una trasformazione abietta, mostri che non sanno di esserlo, personaggi che solo nel male si compiono, come emancipati da una felice o beota irrisolutezza.
“Piccoli racconti di misoginia” (La nave di Teseo, traduzione di Marisa Caramella, pagg. 112, euro 16) è un agile catalogo di nefandezze al femminile. Borghesi o prostitute, sposate o zitelle, casalinghe o artiste: ognuna reca in sé, dapprima invisibile, l’incrinatura che manderà in pezzi la coppa d’oro di un’esistenza destinata a naufragare nel vizio, nell’omicidio, nella tensione sadica al delitto.
Questo solo interessava l’autrice: cosa passa nella mente di un aspirante assassino. Il resto – intreccio, indagine e, in generale, il congegno convenzionale del thriller – segue come scrupolosa intendenza. La suspense è arte; colpi di scena e agnizioni finali sono mestiere.
Detestava il falso mito dell’American Dream
Indubitabile il talento, Miss Highsmith non era una femminista. Anzi, nei suoi pregiudizi davvero poco raccomandabile, era tuttavia equanime con ogni gruppo o minoranza accreditata. Donne, ebrei, neri: non discriminava nessuno, li disprezzava tutti.
Detestava in particolar modo l’ipocrisia implicita dell’American Dream: “Mito di affermazione di sé che valeva per l’uomo, il self-made man, e non per la donna, sempre costretta ad aspettare che fosse un uomo a portarle la felicità sposandola”. Misogina?