“C’è un bimbo ed un vecchio: la porta è nel mezzo”. E’ l’incipit di una piccola sinfonia di parole, anabasi piccina che ha la misura della favola e la lingua dei poeti che non han paura di lodare/pregare/bestemmiare in dialetto. E’ il romanzo, forse un apologo scanzonato, di Graziano Gala (“Popoff”, minimum fax, pagg. 182, 17 euro).
LeggerMente: “Popoff” di Graziano Gala
Al ritmo di una filastrocca seguiamo la vicenda di un bambino senza nome, un fagotto di giubbotti ribattezzato a capocchia Popoff. Cerca il padre. E’ sperduto e affamato quando bussa alla porta di Cimino, un vecchio vedovo svampito.
“E tu, cu cazzo sì?” chiede Cimino coi modi gentili. Ripesca la voce, il malassemblato, e sembra la prenda da dentro al giubbotto. Allarga il sorriso, un po’ rosso di guance, al vecchio che fissa il bimbo ci dice: “Mi scu-ci, ci-niò-re, à visto pe-ccaso mio pa-ttre?”.
Una domanda che è litania disperata e felice. Il paese rilutta ad accoglierlo, è grigio e meschino, imperversano sospetto e maldicenza, fioccano arbitrarie espulsioni. Ma il bimbo è portatore di luce, le afflizioni lo fortificano senza irruvidirlo. In questo singolare e poetico romanzo tutto è espressione, i nomi di persona si fanno verbi, scritto e parlato bevono alla stessa pozza, la forma assorbe ma libera il contenuto.
Come faceva quella canzoncina danzante dello Zecchino d’oro? “Ma Popoff del cosacco che cos’ha / ha il colbacco e gli stivali / ma non possono bastar…”. Popoff conosce il segreto della memorabilità.